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Immobilismo agitato

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Cronache di un paese immobile ma in preda ad agitazione psicomotoria! Questa potrebbe essere la fotografia dell’Italia in queste settimane e in questi mesi!

Cronache di un paese immobile ma in preda ad agitazione psicomotoria! Questa potrebbe essere la fotografia dell’Italia in queste settimane e in questi mesi! Ogni giorno è segnato da qualche polemica, da qualche denuncia, da fatti di cronaca tragica, da episodi di bullismo, razzismo, imbecillità diffusa. Intanto qualcuno cerca nonostante tutto di mandare avanti la “baracca” come si potrebbe dire con un’espressione diffusa, di non perdere il treno della ripresa, di rimanere agganciati all’economia mondiale!
Un paese immobile, soprattutto in quell’ambito che dovrebbe servire a costruire linee guida, a dare indicazioni di percorso: ossia la politica. Qui, la nebbia resta totale, la confusione regna sovrana mentre disillusione e disinteresse si sommano a precarietà, a disagio sociale e ad un’insofferenza crescente.
Ascoltare giorno per giorno le dichiarazioni di questo o quel politico, al netto delle posizioni partitiche, produce una sensazione di distacco e fa sentire palpabile una distanza che sembra incolmabile tra il paese e chi pretende di rappresentarlo. E la fotografia – ancorché scontata – sembra quella del pianista e della sala da ballo a bordo del Titanic.
Come non interpretare con mestizia il continuo palleggio all’interno del Pd e più in generale della sinistra. Il mondo va veloce, lo scenario cambia ogni giorno, ma continuiamo a sentire soltanto balbettii come “mai con le destre”, tornare al popolo, la sinistra che “deve” essere! Nessuno si rende conto che le categorie di analisi che sono state bagaglio decennale del Pci e dei suoi successori, non hanno più nulla a che vedere con la realtà sociale del paese. Nessuno si rende conto che fondare l’azione politica della sinistra sul pansindacalismo “da barricata” che sembra la chiave di lettura della Cgil (che così recupera la sua vera natura in certo senso, ma fuori tempo) non porta da nessuna parte se non ad un conservatorismo operaista che non riesce ad interpretare le mille sfaccettature che la realtà del lavoro ci pone dinanzi. E soprattutto una domanda nasce spontanea: dove era la Cgil quando i precari divenivano milioni ma nessuno se ne curava (colpa di tutto il sindacato in verità) e nessuno cercava di immaginare la loro rappresentanza in relazione alle condizioni storiche che mutavano? Un’evoluzione che esplode negli anni Novanta, non ieri l’altro! Se si parlasse meno delle “destre” e più della realtà ed invece di funambolismi para ideologici si guardasse allo scenario da nord a sud, forse qualche buona idea potrebbe venir fuori, senza necessariamente dover avere il “sigillo” conformista! Difendere i più deboli, chi lavora, chi subisce ancora sfruttamento, si deve fare e si può, senza richiamarsi a slogan vacui, senza speranza e senza futuro! E che rischiano di essere l’ultima illusione dopo il crollo di tutte le altre. La crisi della sinistra in tutta Europa origina proprio da questa contraddizione, da noi particolarmente evidente! Ma qualsiasi tentativo di una nuova lettura sociale viene subito bollata come “revisionista” (ma va! Sembrava finita l’epoca di questi ideologici ostracismi…). E così dopo il referendum è sparita ogni idea di riforme istituzionali (per le quali come è noto …. c’è sempre tempo) e ci si dibatte sul ritorno del “proporzionale”: un passo avanti certamente, per sbattere contro il muro!
Se poi guardiamo al centrodestra, la mestizia rischia di diventare profonda tristezza, soprattutto pensando alla maggioranza moderata del paese che ne costituirebbe il destinatario naturale. L’eterna attesa dell’ex cavaliere, la sua indomita certezza di poter essere il solo a condurre la ripresa oltre a fare i conti con le questioni giudiziarie, si scontrano con la confusa realtà di quest’area. Da un lato c’è chi fa distinguo tra chi ci deve essere e chi non ci deve essere, dall’altro si deridono esponenti prima portati in auge poi lasciati cadere come vecchi stracci. E poi non si risolve il dualismo tra la Lega di Salvini (con annessi Fratelli d’Italia) in deriva lepenista e quel che resta di Forza Italia o delle sue innumerevoli anime in fuga dalla realtà, ma ancorate al centro moderato! Come tutto questo possa convivere sul piano elettorale non è dato sapere e neppure quale risposta tutto ciò possa avere alle urne. Interrogativo non da poco!
Una domanda che, come mostrano ancora i sondaggi, potrebbe rischiare di avere una risposta al di fuori della razionalità: ossia un voto ai cinquestelle. Tra l’incertezza su che cosa siano oggi il centrosinistra e il centrodestra, gli italiani sembrano indotti a privilegiare una realtà di movimento il cui carattere principale è quello di “non“ essere qualcosa! Un non partito, retto da un non statuto, guidato da un non leader, dotato di un non programma, fatto di non idee e non proposte. E il cui unico tratto distintivo è quello di voler interpretare il nichilismo e il disagio rabbioso di tutti contro gli altri. E sì! Perché è proprio questo che appare nel pratico amministrare! Non si vuole un qualcosa sulla base di un valore espresso, di un’idea percepibile. Si vuole abbattere quel che c’è e basta, perché questo è il senso della politica dei “cittadini” contro il sistema! Come si concili tutto questo con il ruolo internazionale del paese, la sua economia nei settori ancora forti e che richiedono una politica industriale di attacco e non di rinuncia, con le esigenze quotidiane di energia, di trasporti, di efficienza, di legalità, di cultura, non è dato sapere. Anche perché gli esempi pratici a disposizione lasciano attoniti. Se si deve governare, quindi comporre interessi diversi, si rischia di essere come gli altri. Se si vuole fingere, invece si fa come a Roma, dove il bluff rischia di minare la spinta propulsiva del guru e mentre in periferia si chiede sempre più autonomia di azione e non conformismo confezionato dalla elitaria piattaforma Rousseau! La brusca frenata di Genova, poi, con la riammissione da parte dei giudici della candidata Cassimatis “cassata” da Grillo e alla quale continuerà a negare il simbolo, provoca un senso di avvitamento difficilmente comprensibile. Il paradosso è che mentre i cinquestelle sembrano avviati a una forte presenza parlamentare in caso di elezioni, il leader appare ormai in confusione. Intanto il guru ereditario, Casaleggio junior, fa le prove generali in politica, a modo suo ma le fa! Difficile dire quale sarà l’approdo di tutto questo. Per ora è chiaro che il concetto di democrazia pentastellato appare quanto meno improbabile e ha il pessimo sapore delle “avanguardie” politiche del secolo breve che hanno portato il mondo quasi alla distruzione. Nel nostro caso potrebbero definitivamente smontare l’intero sistema e non per farlo rinascere nuovo! Di questo aspetto nessuna idea del movimento è apparsa all’orizzonte!

di Roberto Mostarda

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