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Roma. Febbraio 2004. Renato Massa detto René nacque nella capitale il 7 ottobre 1963. Capelli rossi come il fuoco e occhi grigi, gran lettore…
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Roma. Febbraio 2004. Renato Massa detto René nacque nella capitale il 7 ottobre 1963. Capelli rossi come il fuoco e occhi grigi, gran lettore (anche dopo il liceo, passione per la filosofia del diritto), è un delinquente e sta fuori con la condizionale. Partecipa a una rapina a mano armata, l’autista prende in pieno la campana dei rifiuti e va storto qualcos’altro; 40 anni compiuti da poco si ritrova in gattabuia, o almeno crede. Era già stato dentro quattro volte, è un duro, pur se da tempo aspirerebbe ad altra vita. Ha un amore segreto, la giovane magnifica Alessia (anche lei profondamente innamorata), setosi capelli neri e intensi occhi verdi, figlia di un barista malavitoso e fidanzata ufficiale del possente complice del padre (una macchina omicida di un metro e novantacinque di muscoli). Ha un fratello minore segreto (orfani fin da bimbi), il pavido abitudinario Diego, capelli rossi e lentiggini sugli zigomi, una vecchia nonna sulle spalle, impiegato Inps senza qualità, che non lo sopporta e non vede da più di quattro anni. Proprio mentre René capisce che a tenerlo prigioniero sono i falsi poliziotti che hanno inscenato il fallimento della rapina, Diego recupera casualmente una bella cifra che sa di bottino rubato, 175.000 euro. Deve però gestire un’emergenza in cui l’hanno coinvolto: il suo capo si aggrega al piano ordito dall’amico ministro, da un generale dei carabinieri, dal direttore generale e da un influente sottosegretario per eliminare pensionati soli, molto anziani e improduttivi, target precisi (ancora da individuare) per l’Operazione Anno Zero. Ed è tutto un tourbillon d’intrecci: tradimenti, ricatti, bugie, botte, un’arruffata giostra di fuochi d’artificio, un misto di casi ineluttabili in cui è proprio difficile restare vivi.
Son dieci anni che l’attore e regista Antonio Manzini (Roma, 1964) si e ci diletta anche con ottime scritture. Iniziò con una pièce per il teatro, “Sangue Marcio”, cui seguì questo testo, pubblicato da Stile Libero, terza persona sui vari connessi protagonisti (spesso a loro insaputa). Aveva già all’attivo pure vari racconti e sceneggiature quando è arrivato il primo romanzo (2013) della serie di Rocco Schiavone, con un successo crescente e travolgente. Così gli esordi tornano ora in libreria illuminati da nuova luce. Manzini spiega che, considerando la successiva esperienza, voleva “ritoccarlo” ma poi “sarebbe diventato un altro libro” e ha “lasciato perdere”, il percorso letterario si capisce meglio, “un pezzo delle fondamenta” di casa sua. Si potrebbe dire che scrisse un “hard-boiled de’ noantri”, bello e artigianale. È significativa la dedica d’ascendenza a Frederic Brown (1906-1972), l’ottimo autore americano di fantascienza e gialli dallo stile secco e crudo; Manzini intinge quell’umorismo e quel cinismo a Roma, facendosi tristi beffe delle piccole ambizioni e delle illusioni solitarie, della criminalità disorganizzata e della potente protervia, messe in oggettivo ridicolo, mondi e stile non forbiti. Fra i personaggi mancano investigatori e poliziotti questurini. Segnalo che l’ingegnere e il ministro sono cresciuti a Macerata, dove avevano diviso tutto: biglie, figurine, seghe, medie e liceo e dove poi Iacobazzi si era candidato ed era stato eletto. E che la banca rapinata è la Cassa Rurale delle Marche, pura coincidenza. Nella villa del boss si beve Fiano di Avellino.
v.c.
Fratelli
www.huffingtonpost.it/2014/07/08/inps-conti-rosso-10-miliardi_n_5566260.html
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