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Un eroe italiano dimenticato

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MVSN di Roma guidata da Luigi Russo e Felice Baistrocchi (L'Illustrazione italiana del 15 marzo 1936 )
Parlare oggi della figura del generale Federico Baistrocchi è un po’ come descrivere un marziano o un personaggio da leggenda, in parole povere uno di quegli italiani di cui si è persa la matrice.

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Parlare oggi della figura del generale Federico Baistrocchi è un po’ come descrivere un marziano o un personaggio da leggenda, in parole povere uno di quegli italiani di cui si è persa la matrice.
In lui si univano senso del dovere militare, la capacità tecnica e l’umiltà tipica degli uomini che conoscono il proprio valore e non hanno bisogno di manifestarlo ovunque e a chiunque sempre.
Di Baistrocchi a settant’anni dalla morte, morì a Roma nel 1947, finalmente si sente il bisogno di ricordarlo da parte dell’esercito sperando che il suo ricordo sia di esempio a tanti italiani, specialmente a coloro che hanno responsabilità nazionali.
Figlio “d’arte”, era nato a Napoli nel 1871, il padre, anch’egli militare, aveva combattuto in tutte le guerre risorgimentali e ben presto il giovane Federico fu inviato al Collegio militare della Nunziatella e poi all’Accademia di Modena uscendone sempre con il massimo dei voti.
Il suo battesimo del fuoco lo ebbe nella campagna di guerra in Eritrea ad appena ventitre anni e, circa dieci anni dopo, nella guerra di Libia coprendosi di valore con ben sei medaglie al valore.
Ma la sua grande fama di militare la ebbe con la prima guerra mondiale adoperando per la prima volta l’artiglieria come strumento strategico nelle battaglie di posizione.
Grazie a questa sua intuizione risolse molte battaglie tanto che i leggendari Arditi del 1°battaglione gli offrirono la medaglia d’oroper averli accompagnati, come recita la memoria, “Adoperando un preciso fuoco dei suoi cannoni alla conquista della Bainsizza a quota 800“.
Alla fine della guerra per i suoi tanti meriti, fu nominato appena quarantasettenne generale, non solo, ma per quasi dieci anni, dal 1924 al 1933, occupò come deputato, un seggio a Montecitorio impegnandosi, ovviamente, di leggi e riforme militari.
Ma quella che poteva essere considerato il compimento di una folgorante carriera per Baistrocchi era solo l’inizio.
Salito al potere Mussolini, dopo dieci anni da deputato, viene nominato prima sottosegretario all’allora ministero della Guerra raggiungendo il grado di Capo di Stato maggiore dell’esercito nel 1934 e generale d’armata nel 1936.
Come ricordano alcune testimonianze, soprattutto i documenti della sua attività presso il ministero, possiamo dire che fu un vero ciclone nel riorganizzare l’esercito in maniera moderna e più efficace, abbandonando per sempre lo stereotipo militare piemontese che ancora perdurava.
Cominciò a rinnovare la dotazione delle armi ormai obsolete, motorizzò l’esercito creando il primo Corpo Automobilistico trasformando di fatto il ruolo della cavalleria e della fanteria.
Molte altre furono le sue innovazioni ancora attuali, dall’addestramento all’equipaggiamento, la riforma dei carabinieri fino ad arrivare ai regolamenti, nei quali introdusse la clausola per gli ufficiali della meritocrazia e non solo l’anzianità.
Ma il suo capolavoro di strategia fu nel 1936 la guerra contro l’Etiopia.
Da militare non entrò certo nel merito politico di questa avventura bellica, ma avvertì Mussolini e il Re che una operazione di guerra a 8.000 km di distanza dalla madre patria era a dir poco un azzardo.
Trasporto, sussistenza, rifornimenti per circa centomila uomini in armi, più un considerevole numero di ascari, i soldati coloniali, avrebbero richiesto una forza ed un organizzazione straordinaria.
Ma gli ordini erano ordini, e così si mise subito al lavoro dando il meglio di sé.
Grazie alle sue qualità organizzative riuscì a creare un ponte di rifornimenti tali da rendere la guerra d’Etiopia relativamente veloce, tanto che si parlò di guerra lampo, una strategia che venne in seguito adottata da molti altri eserciti nel mondo.
Basterebbe tutto quello che brevemente abbiamo scritto su Baistrocchi per renderla una figura eccezionale eppure all’apice della carriera e dei riconoscimenti internazionali, cominciarono i suoi guai per ciò che possiamo definire la sua troppa onestà, facendosi dei nemici che lo perseguiteranno quasi fino alla morte, tra i quali Pietro Badoglio.
Mussolini vedendo le qualità logistiche di Baistrocchi nella campagna d’Africa lo voleva al posto del poco affidabile Badoglio che lo esasperava per la sua lentezza nell’avanzare.
Il generale rifiutò per il bene superiore dell’esercito questo incarico così prestigioso denunciando al Duce che un simile avvicendamento avrebbe potuto causare problemi al Corpo di spedizione, ma questa scusa non convinse mai Badoglio che anzi in questa rinuncia vedeva chissà quali complotti contro di lui tanto da fargli dire a Rodolfo Graziani: “Io i miei nemici li strangolo lentamente, così, col guanto di velluto”, frase che come vedremo divenne anni dopo una realtà.
Non solo, ma Baistrocchi ebbe “l’impudenza” di consigliare a Mussolini di nominare eventualmente Italo Balbo Capo di Sato maggiore come l’unico che poteva dare una nuova svolta all’esercito, al posto di Badoglio.
Baistrocchi da militare onesto e consapevole più di ogni altro delle vere condizioni del nostro esercito nel momento di maggior fulgore del fascismo con la dichiarazione niente meno che dell’impero non si fece scrupolo di avvisare in più occasioni Mussolini che la recente conquista africana poteva essere sempre rimessa in discussione da altre nazioni, tanto che in una lettera sconsigliava di sottrarre forze e mezzi alle colonie che in breve sarebbero rimaste tagliate fuori dall’Italia per il fatto che la dominatrice del mare rimaneva allora la Gran Bretagna.
Aveva previsto, grazie alla sua esperienza, molte cose e così scrisse nel settembre ’36 al Duce quando nelle cancellerie di mezza Europa e nei Ministeri della Guerra si cominciava a sentire scricchiolare la pace, nonostante i proclami di rito e la pseudo pace di Monaco: “La prossima guerra che prevedete (rivolto a Mussolini) sarà lunga […] troverà l’universo diviso in due campi opposti per una lotta senza quartiere e perciò sarà lunghissima e all’ultimo sangue. Trionferà chi avrà saputo meglio prepararsi, resistere, alimentarsi. Il Mediterraneo non è nostro; l’Inghilterra lo domina  […]  la Francia e anche l’America (poiché ritengo che anch’essa sarà contro di noi) vorranno farci scontare il nostro grande successo in Africa”.
Queste lettere insieme ad altri suoi interventi presso le alte schiere del governo cominciarono ad essere viste da prima come una seccatura e poi sempre come una persona inaffidabile che non credeva nelle magnifiche sorti del fascismo.
Cominciarono ad uscire dallo scoperto i primi nemici che cominciarono a tramare per il suo allontanamento.
Ma un uomo così non lo si poteva allontanare, dunque, seguendo un vecchio adagio latino: ‘Promoveatur ut amoveatur’, venne nominato conte e senatore del Regno, ma di fatto escluso da ogni responsabilità militare.
Baistrocchi rifiutò anche la nomina a comandare le nostre truppe nella guerra di Spagna. Un rifiuto coraggioso vista la politica del Fascismo, ma tant’è il nostro era un uomo tutto d’un pezzo inadatto a compromessi anche con la sua coscienza.
Già prima dello scoppio della guerra Baistrocchi si ritirò, ormai alla soglia dei settant’anni, definitivamente dalla vita pubblica forse amareggiato dalla realtà del fascismo e degli uomini che stavano intorno a Mussolini, pronti poi a tradirlo.
Con il crollo del regime, con qualche giravolta politica, Badoglio divenne capo provvisorio del governo italiano e pensò bene di vendicarsi una volta per tutti del generale che per la sua professionalità e dirittura morale lo aveva sempre offuscato.
Il 18 aprile del 1946 su richiesta del Commissariato per le sanzioni contro il Fascismo il generale Federico Baistrocchi venne fatto arrestare e tradotto nelle carcere romano di Regina Coeli come collaboratore delle malefatte del regime e trattato come un criminale comune. La vergogna per quell’ingiusto trattamento intaccò la sua salute, perse più di venti chili, ma non certo la sua forza morale.
Al processo che si svolse cinque mesi dopo, partecipò l’intera città e a suo favore si presentarono un gran numero di personalità politiche e di cultura della nuova Italia.
Nel processo, da galantuomo qual’era, mai accusò nessuno né tanto meno Badoglio o altri generali di comportamento non certo adamantino, ma si limitò a denunciare la sua innocenza portando una notevole quantità di documenti tra cui le lettere inviate a Mussolini dove denunciava la situazione militare italiana e di una eventuale entrata in guerra.
Dopo 12 giorni di dibattimento processuale, fu trovato dai giudici non solo innocente dalle accuse a lui addebitate, ma ebbe anche il riconoscimento per la sua attività a favore dell’esercito e dell’Italia senza mai chinarsi ai voleri del potente di turno.
Una soddisfazione che non poté godere a lungo.
Morirà il 31 maggio del 1947 e seppellito nella Certosa di Bologna.

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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::2058::/cck::

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