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8mila litri di acqua per un paio di jeans

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Nave incagliata a causa del prosciugamento del lago d'Aral Di User:Staecker - Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=658367
In questi giorni l’Italia è sotto la morsa del caldo grazie ad una bassa pressione che non intende abbandonarci ormai da troppi mesi e, non essendoci nubi all’orizzonte, la speranza di pioggia si fa sempre più esigua.

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In questi giorni l’Italia è sotto la morsa del caldo grazie ad una bassa pressione che non intende abbandonarci ormai da troppi mesi e, non essendoci nubi all’orizzonte, la speranza di pioggia si fa sempre più esigua.
Bisogna a questo punto adeguarci, il cambiamento climatico è ormai certo, anche se la colpa non è chiara quanto sia dell’uomo o piuttosto delle mutazioni proprie della Terra.
Questo dilemma, però, non toglie il problema sicuramente più drammatico per tutti noi: la scarsità di acqua potabile non solo per noi sette miliardi di abitanti sul pianeta, ma anche per l’infinita popolazione composta da animali e piante.
Guardando all’Italia la crisi idrica ha fatto emergere per la milionesima volta, tra le tante cause, il fattore di sperpero procurato da una rete idrica che risale al secolo scorso se non addirittura agli antichi romani, una scarsa o del tutto assente manutenzione con il risultato del 40% di spreco delle risorse idriche.
Denuncie che purtroppo, con le prime piogge di stagione, puntualmente vengono dimenticate. Nel frattempo i sindaci invitano la popolazione a non sprecare l’acqua cominciando dal rubinetto.
Un consiglio certamente utile, ma, come vedremo, purtroppo assai riduttivo.
Lo spreco non è solo dal rubinetto di casa o dalla rete idrica bucata, ma anche in quello che mangiamo o indossiamo.
Per comprendere meglio l’esatto consumo idrico pensiamo, per un esempio pratico, al classico scaldabagno che ognuno di noi ha in casa, con una portata media di poco più di 50 litri. Ora immaginiamo, per capire concretamente il consumo idrico, che mentre mangiamo un hamburger immaginiamo di essere circondati da almeno 53 scaldabagni, per una capienza complessiva di 2.400 litri. È questa la quantità idrica che occorre per produrlo, lo stesso vale quando indossiamo una semplice t-shirt per la quale è come indossare almeno 54 altrettanti scaldabagni e per un jeans arriviamo ad essere circondati da ben 160 scaldabagni.
Questa valutazione, togliendo il nostro scaldabagno, si chiama ‘acqua virtuale’, una misura introdotta nel 1993 da un professore del King’s College, Tony Allan, per conoscere quante risorse idriche occorrono per le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione di cibi, beni e servizi che consumiamo abitualmente e dare al consumatore l’idea di quanta acqua si consuma non solo per il prodotto in sé, ma anche per gli imballaggi, la loro conservazione e il trasporto.
Fatta la somma di questi elementi possiamo valutare che un kg di pollo è pari a 4.300 litri di acqua, di maiale ne occorrono ben 6.000 di litri e per allevare un manzo arriviamo a 15.400 litri.
Ugualmente importanti sono i consumi vegetali: per un kg di grano occorrono almeno 1.800 litri, per il riso addirittura 2.500 per arrivare più modestamente alla mela con 800 litri solo per un kg.
Ora possiamo comprendere meglio la preoccupazione che sta colpendo le nostre campagne, in questi giorni di grande calura, con questo tipo di consumi.
In pratica per ogni due litri di acqua che beviamo giornalmente dovremmo aggiungere, secondo le stime, anche 3.4696 litri nascosti nella gran parte del cibo che mangiamo, senza contare il consumo che occorre per l’industria e i servizi.
Dopo il Giappone e il Messico siamo tra coloro che annualmente consumano in media pro capite 2330m3 di acqua l’anno, confermando che la nostra dieta è costituita da molti prodotti animali (addio dieta mediterranea. ndr) verificabile dal sostenuto consumo idrico.
Gli esperti affermano, non per forza ambientalisti, vegani, salutisti e quant’altro che questo consumo, nonostante tutto, possa essere contenuto, prediligendo, ad esempio, quegli animali che mangiano al pascolo utilizzando i frutti spontanei della terra e le risorse idriche della natura al posto di quelli allevati in modo intensivo che utilizzano mangimi che sfruttano l’acqua di fiumi e laghi che, ricordiamo, è una sempre fonte limitata, come vediamo purtroppo in questi giorni di estrema siccità.
Un’altra cattiva abitudine, sempre più consolidata grazie ad una pubblicità martellante, è il consumo di prodotti fuori stagione, quelle che una volta venivano chiamate le primizie perché andavano al mercato un mese prima della sua naturale raccolta.
Oggi troviamo fragole in pieno inverno insieme ai meloni e di contro in estate i broccoli o gli asparagi, per non parlare della frutta che proviene dal Cile o dal Sud Africa con consumi enormi per il trasporto e la conservazione; se solo volessimo seguire il naturale sviluppo della natura e utilizzando contemporaneamente anche i prodotti a km 0 potremmo realizzare un grande risparmio
Purtroppo, nonostante qualche miglioramento, siamo ancora lontano dal cosiddetto consumo intelligente.
Lavare i piatti nella bacinella per non consumare l’acqua corrente è una scelta certamente sana ed educativa, ma se il piatto che laviamo ha l’impronta di una bistecca o di fragole fuori stagione che provengono dal Cile allora, purtroppo, è il classico svuotare il mare con un cucchiaio.

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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::2085::/cck::

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