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Discutere di riforme fiscali e flat tax appare alquanto utopistico e fuori dalla rappresentazione reale del funzionamento dei sistemi economici all’interno di paesi differenti che adottano la stessa moneta.
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Nei meandri dei dissesti italici, con le prime pagine politiche riempite per lo più da leggi elettorali e alleanze pre-elezioni, ogni tanto rientrano dal passato proposte e soluzioni per il nostro bel paese.
E’ il caso della Flat Tax (tassa piatta), soluzione proposta dalla Lega Nord e spesso utilizzata come grimaldello per snellire il vetusto apparato fiscale Italiano, percepito da tutta la popolazione come una delle cause dei nostri mali.
La Flat Tax nasce come teoria dell’economista Milton Friedman, uno dei padri del liberismo economico, e si propone di semplificare il complesso di norme e tributi attualmente vigenti nel nostro ordinamento con una tassazione dei redditi personali e di impresa proporzionale ad aliquota fissa al 15%.
In sostanza, ci sarebbe la cancellazione degli attuali 5 scaglioni Irpef, con un’unica aliquota, sia per dipendenti e imprese, applicando una serie di deduzioni variabili in base al numero del nucleo familiare e al reddito di partenza.
Secondo i sostenitori della Flat Tax i vantaggi deriverebbero dalla maggiore semplificazione del nostro sistema alquanto farraginoso e complesso, con un effetto “rebound” dell’economia sommersa, in un paese come il nostro che rimane ai primi posti al mondo per evasione e elusione fiscale.
Un’aliquota così bassa incentiverebbe la maggioranza dei cittadini a rimanere nelle regole, supportando attraverso maggiori redditi disponibili i consumi e gli investimenti, dando modo all’Italia di tornare a essere un paese competitivo.
La dubbia legittimità costituzionale della riforma, in un ordinamento che contempla la progressività delle imposte in base al reddito, verrebbe arginata dalle deduzioni e detrazioni introdotte in base alle condizioni personali del reddito e dal numero del nucleo familiare, introducendo così elementi di progressività, in rispetto del dettato dell’art. 53 della nostra costituzione.
Le stime di un tale scenario parlano di mancate entrate fiscali per circa 100 miliardi di euro all’anno, che verrebbero recuperati in parte dall’emersione del gettito sommerso e in parte dall’incremento della base imponibile su un Pil nuovamente in crescita.
I contrari all’adesione della Flat Tax pongono l’accento sul carattere liberista dell’aliquota, che andrebbe a premiare i redditi più elevati, in opposizione al concetto di progressività dell’imposta, presente in tutta Europa e garante della redistribuzione dei redditi a favore dei meno abbienti.
Il mancato gettito fiscale non potrebbe essere recuperato con la mancata evasione, frutto di presunzioni annuali e avente carattere di una tantum e difficilmente prevedibili negli anni a venire, con serie difficoltà di coperture ai vari capitoli di spesa. L’effetto di stimolo fiscale porterebbe risultati eventuali solo nel medio lungo termine, in un paese dove il tempo non permette attese ed esperimenti.
Se il tutto fosse collegato a una minore spesa pubblica, orientamento seguito negli ultimi anni, le conseguenze sarebbero pro cicliche dell’attuale situazione economica di stagnazione del paese: d’altronde un finanziamento in deficit di una siffatta riforma fiscale ci viene precluso dalle regole europee.
Da un punto di vista prettamente macro economico, la Flat Tax era alla base della supply side economics, introdotta dall’amministrazione Reagan nell’America anni ‘80, che si basava sull’incentivo alle imprese e famiglie, con un’aliquota ridotta e fissa a incrementare investimenti e risparmio, maggiore reddito e Pil per l’intero paese. Una riforma dal lato dell’offerta di beni e servizi che, secondo gli economisti, non diede nessuno degli effetti sperati.
Le difficoltà nel nostro paese sono più legate alla mancanza di domanda aggregata, ossia di stimoli in termini di investimenti pubblici e privati, che riportino il ciclo economico in condizioni di occupazione e crescita, ed eventuali esperimenti dal lato dell’offerta, già realizzati negli ultimi anni (jobs act, voucher), non hanno avuto esiti favorevoli.
In assenza di politiche monetarie e flessibilità del cambio demandate all’Europa, difficilmente si potrà solo tentare delle strade alternative, anche perché impossibilitate dall’adesione ai trattati e al fiscal compact.
Nell’attuale Unione Europea sarà difficile quadrare i conti, navigando sempre a vista per manovre correttive e finanziarie bis da 20-30 miliardi e il discutere di riforme fiscali e flat tax appare alquanto utopistico e fuori dalla rappresentazione reale del funzionamento dei sistemi economici all’interno di paesi differenti che adottano la stessa moneta.
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::autore_::di Gianluca Di Russo::/autore_:: ::cck::2084::/cck::