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Le conclusioni del vertice UE dei capi di stato e di governo del 22 e 23 giugno 2017 sulla Sicurezza esterna e la difesa hanno registrato alcune significative decisioni.
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Le conclusioni del vertice UE dei capi di stato e di governo del 22 e 23 giugno 2017 sulla Sicurezza esterna e la difesa hanno registrato alcune significative decisioni ed alcuni cambiamenti: tra questi la diarchia Merkel – Macron, conseguenza diretta dell’impulso che il neo presidente francese intende imprimere alla politica estera francese.
Alla diarchia eravamo giunti dal fallimento della triarchia Merkel – Hollande – Renzi, avviatasi e raggiunta a seguito del “savoir faire” di Renzi, concentrato sulla necessità di uscire dall’angolo in cui era stato relegato sull’accoglienza dei migranti ed aiutato dalla debolezza del presidente Hollande, ma conclusasi con le dimissioni di Renzi da Presidente del Consiglio.
Vale la pena ricordare.
A seguito della “tragedia di Lampedusa” (3 ottobre 2013, 366 morti accertati, 20 dispersi presunti e 155 sopravvissuti), l’allora presidente del Consiglio, Enrico Letta, autorizzò l’operazione “Mare Nostrum”, operazione militare e umanitaria ispirata al salvataggio dei migranti, costretti a fuggire dalle condizioni disumane diffuse per l’invivibilità nei territori di provenienza.
Per quanto difficile possa essere la nostra politica estera, è opinione diffusa che, pur col sostegno americano dell’era Obama, ed in alcuni casi del cancelliere di ferro, Angela Merkel, gli sbarramenti determinatisi in seno alla UE, almeno fino ad oggi, ci hanno condannato a restare poco ascoltati anche a causa della difficile situazione debitoria che ci obbliga a continue rincorse sul terreno della credibilità delle nostre risorse finanziarie, che ci indeboliscono nei confronti di altri paesi.
Così, “chiuse” le frontiere interne alla UE, in costanza dell’accordo Merkel – Erdogan, l’unico canale di immigrazione nei paesi UE oggi rimane quello del Mediterraneo. Con buona pace di tutti, finché non cambieranno le condizioni attuali, l’Italia risulta condannata a gestire l’accoglienza dei più disparati flussi di migranti provenienti attraverso le coste libiche.
Secondo i dati rilevati dal “Cruscotto statistico giornaliero del 22 giugno 2017” del Ministero dell’interno, ad oggi, 22 giugno 2017, i richiedenti asilo dal 1° gennaio 2017 sono 71.978, distribuiti come nel grafico.
Tralasciando la crudezza dei dati che riportiamo, cerchiamo di orientarci tra di essi e formiamoci insieme un’idea di quale tipo di condotta potrebbe essere utile seguire.
Sullo sfondo, teniamo comunque presente, perché prima o poi ci dovremo confrontare sull’argomento, che in ambito NATO, il presidente Trump si è sperticato in ogni occasione possibile per ricordare ai paesi che hanno sottoscritto la loro adesione, che devono adeguare i propri contributi finanziari a quanto dovuto, ricordando quasi ossessivamente in ogni occasione possibile che gli USA non sono una vacca da mungere.
Lo scorso venerdì, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva all’ordine del giorno una proposta del Mali, supportata dalla Francia, relativa alla costituzione di una forza militare africana di cinque nazioni per combattere i jihadisti nella regione del Sahel: Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger.
Non si tratta di una novità: l’Unione Africana, infatti, aveva già ottenuto dall’ONU un mandato per sostenere una forza militare di 5mila uomini per combattere il jihadismo di Boko Haram che tiene sotto scacco il nordest della Nigeria ormai da troppi anni.
In quell’occasione, i paesi che partecipavano alla forza comune erano Nigeria, Niger, Ciad, e Cameroon, ma i rischi paventati, in particolare in operazioni di confine, come ad esempio quelle sullo stesso lago Ciad e quelle che comportavano sconfinamenti di truppe, hanno costituito un limite che ha impedito di ottenere efficaci risultati.
Nel caso del Mali, invece, la forza G5 (così viene indicata l’operazione) avrebbe la sua sede in Mali, ma sarebbe sotto un comando separato dalla forza di pace dell’ONU, MINUSMA e lavorerebbe in coordinamento con la presenza militare della Francia forte di 4.000 militari nella regione, conosciuta come operazione Barkhane.
Dal canto suo, l’operazione MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission) con più di 12mila soldati e 1500 agenti di polizia, avviata nel 2013 in Mali è stata decisa per sostenere il processo politico di transizione e aiutare la stabilizzazione del Mali.
Se diamo un’occhiata alla dislocazione geografica dei paesi G5 e confrontiamo i dati dei flussi di migranti degli ultimi anni provenienti da tali paesi, salta agli occhi un interesse anche da parte dei Paesi UE alla pacificazione di quei territori, indispensabile per ristabilire condizioni di vivibilità, primo passo di una politica di riduzione delle aree di rischio migranti.
Il sostegno francese alla richiesta del Mali è forte, anche se esiste ancora il timore di qualche sgambetto USA in Consiglio di Sicurezza.
Dal canto suo, l’Unione europea avrebbe, comunque, già deciso un finanziamento proprio alla forza regionale.
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::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::2080::/cck::