Economia

Flessibilità e deficit

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Deficit CC BY-SA 3.0 Nick Youngson
Il termine flessibilità torna in attualità come ricetta economica e relativo piano programmatico, sforamento del deficit al 2,9% per un quinquennio ed abbattimento delle intransigenti regole di Maastricht.

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L’utilizzo recente del termine, riportato alle cronache dall’ex premier Renzi, rientra in quei vocaboli di difficile definizione e inquadramento, se non altro per il contesto vasto di applicazione del termine.
Al primo clic su qualsiasi motore di ricerca, qualche dizionario on line dà la definizione “adattabilità, adeguabilità” come spiegazione del significato.
Probabilmente il nostro ex premier ha fatto propria tale definizione quando ha posto come ricetta economica e relativo piano programmatico lo sforamento del deficit al 2,9% per un quinquennio e l’abbattimento delle intransigenti regole di Maastricht.
Nell’attuale scenario, con le banche centrali in procinto di allentare le manovre espansive, con la diminuzione degli acquisti dei titoli (tapering), il nostro paese, alla prese con la crescita più bassa dell’eurozona, si troverebbe di colpo alle prese con l’incremento degli interessi sul debito, causati dall’innalzamento dei rendimenti.
In sostanza, raffreddare un motore che di per sé rimane tiepido di certo compromette ogni tentativo di elevare le prestazioni.
Il dato di Pil atteso per il 2017 è stato rivisto al rialzo all’1,4%: nonostante la buona notizia, gran parte del merito deriva dall’incremento delle esportazioni, favorite dalla buona domanda estera e dall’euro debole, ma rimangono negativi i dati sulla domanda interna, consumi e soprattutto i dati della disoccupazione giovanile.
Dinanzi ad un eventuale inasprimento delle condizioni esterne, con un peggioramento delle esportazioni, il nostro paese si troverebbe nelle secche, con l’impossibilità di favorire la crescita attraverso manovre espansive in deficit, con investimenti pubblici mirati e qualche sostegno ai consumi attraverso politiche sociali.
Da qui nasce la sfida dell’ex premier Renzi, in chiave anche elettorale, ai burocrati di Bruxelles, con il recupero di 30 miliardi annui da spendere in assegni per i figli, reddito di inclusione e manovre di detassazione sulla produttività delle aziende e sui giovani under 35, in modo di sostenere il Pil e cercare la via della crescita come abbattimento del fardello del debito pubblico.
I “Niet” che arrivano d’oltralpe, insieme alla bagarre sui migranti, danno in pasto all’opinione pubblica un nuovo concetto di Unione Europea, basato sull’architettura di rigidi parametrici economici, frutto di teorie economiche obsolete e lontane dai valori di solidarietà, fratellanza dei popoli e benessere per i cittadini europei.
Sempre maggiori fette della società italiana prendono coscienza delle difficoltà del nostro paese di tornare alle condizioni pre euro all’interno delle regole definite, in un clima di crescente sfiducia verso la politica e le istituzioni.
Le ultime concessioni europee, in temi di salvataggi bancari e stanziamenti straordinari, non cambiano il contesto generale, dove sempre più persone assistono al peggioramento delle condizioni di benessere.
Benessere che la politica ha il compito di mediare, in contesti di crescita economica, e che deve creare, nei momenti di recessione e stagflazione.

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::autore_::di Gianluca Di Russo::/autore_:: ::cck::2119::/cck::

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