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Chen è un intellettuale che si ritrova a fare il poliziotto. Ma cosa lo ha condotto dal subire le violenze del regime al dover invece far rispettare la legge?
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Shanghai. 1953-1989. Qiu Xialong è vissuto in Cina fin quasi ai drammatici eventi di Piazza Tienanmen, poi è rimasto a studiare e ad insegnare grandi poeti e letteratura negli Usa. Ha iniziato a scrivere ottimi gialli, pubblicando in inglese già nove romanzi con protagonista Chen Cao, prima un promettente funzionario di polizia, poi ispettore capo a Shanghai negli anni novanta e duemila, quello che sarebbe forse potuto essere l’autore stesso se fosse rimasto, un parallelo “impossibile” come altri aspetti delle reciproche biografie. Chen è figlio unico, ha un padre professore neoconfuciano etichettato come mostro “nero” durante la Rivoluzione Culturale (e morto per indigenza), madre docente alle medie e sofferente di epatite, pure lui ha studiato all’università di Pechino laureandosi alla facoltà di lingue straniere, si è visto assegnare dallo Stato un lavoro di polizia in seguito a una concatenazione di circostanze: massimo dei voti, intervento del padre di una bibliotecaria amica, esigenza di tradurre un manuale americano di procedura penale.
Magro e riflessivo, vive con la madre in un solaio, gli assegnano un tavolino traballante nella sala lettura, conosce dinamiche e uffici, si trova a dare un brillante contributo in un caso delicato della squadra omicidi, nel quale usa sia il tesserino dell’Associazione scrittori che competenze da gourmet. Un anziano curato e benestante è stato ucciso di notte con un colpo in testa lontano dalla minuscola abitazione in vicolo della Polvere Rossa, non sanno nemmeno il nome, nessuno ha denunciato scomparse. Chen riesce a capire chi era grazie a quel che aveva mangiato, infine smaschera il colpevole.
Qiu Xiaolong (Shanghai, 1953) ha vissuto disastri e squallori del “maoismo” sulla pelle delle proprie famiglia, infanzia e adolescenza. Prima del 1949 il padre aveva diretto una piccola fabbrica di profumi, era un “capitalista”.
A metà degli anni cinquanta l’azienda non gli apparteneva più, iniziò a lavorare come operaio ma dall’inizio della Rivoluzione Culturale fu sottoposto a critiche di massa per il passato, a sevizie e vessazioni, a denunce e confessioni, al distacco e all’operazione della retina. La moglie e i tre fratelli pagarono il prezzo di povertà e disprezzo, là nel vicolo della Polvere Rossa: la madre soffrì ben presto di esaurimento nervoso, il fratello maggiore Xiaowei era praticamente paralizzato, la sorella Xiaohong era la più piccola (vive ancora a Shanghai), toccò a Xiaolong già in prima media farsi carico della situazione, scrivendo fra l’altro dichiarazioni di colpevolezza.
Lo racconta nel 2016 in “Becoming Inspector Chen”, un volume splendido di diversi generi letterari, appena tradotto: “Il poliziotto di Shanghai. Come fu che Chen Cao divenne ispettore”.
Il racconto giallo che spiega l’esordio del futuro poliziotto è il testo lungo e centrale, con lo stile dei famosi romanzi e le relative frustrazioni sessuali. Prima e dopo c’è di tutto, con raffinate varianze: spezzoni autobiografici in prima persona (come e perché Xiaolong si è trasferito negli Usa, ha inventato alcuni suoi personaggi cartacei reinterpretando amici e conoscenze, ha scelto un genere di cui era appassionato già in patria), la poesia che scrisse dopo il giro di vite contro il movimento studentesco (in parte già pubblicata come opera di Chen nel primo romanzo), altri racconti del vicolo (in continuità con le due splendide raccolte già uscite intitolate a quel luogo dove crebbe) e altre storie connesse a lui e a Chen.
Il tutto con citazioni di ancor più componimenti e strofe, proverbi e detti. E tante ricette autoctone e tour gastronomici.
In copertina la bella mitica Ling col walkman davanti alle scansie di libri. Da non perdere.
v.c.
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