Esteri

La ignorata decadenza della democrazia

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Democracy Index 2016: Revenge of the “deplorables”". eiu.com. The Economist Intelligence Unit. 25 January 2017
L’avvento di governi autoritari democraticamente eletti e delle dittature, frutto di crescenti disuguaglianze, stanno mettendo in crisi il concetto stesso di democrazia.

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I leader politici sono così impegnati nel difendere il proprio incarico che non sembrano accorgersi che l’azienda sta per chiudere. La democrazia è in declino e tuttavia, la questione non figura all’ordine del giorno del Parlamento. Tutti concordano sulla perdita della visione a lungo termine, della pianificazione e della ricerca di soluzioni a lungo termine e sull’uso della politica per accumulare potere.

In inglese, ci sono due significati di “politica”, quella riferita al meccanismo, e l’altra, alla visione politica. Nelle lingue latine, c’è solo una “politica”, ora utilizzata anche in paesi di lingua inglese, sia nella Gran Bretagna di Theresa May, sia negli Stati Uniti di Donald Trump.
In pochi anni, abbiamo assistito all’incredibile fiorire di governi autoritari, e forse la Turchia di Recep Tayyip Erdogan è il miglior esempio. Eletto primo ministro nel 2002 e presidente nel 2014, è stato considerato come la prova che si può essere musulmani e difendere la democrazia.
Erdogan ha cominciato ad assumere un profilo più fondamentalista e autoritario, come dimostra la dura repressione nel 2013 di migliaia di manifestanti, che protestavano contro il progetto di costruire un supermercato in una piazza emblematica di Istanbul.
Da allora, si accelerò la tendenza all’abuso di potere. Nel 2014, fu accusato, insieme a suo figlio, di corruzione e su tali basi furono arrestati tre figli dei suoi ministri. Erdogan accusò, per tale situazione il Movimento di Gülen, un’iniziativa spirituale guidata da un esiliato, l’uomo di chiesa Fethullah Gülen, attualmente con sede negli Stati Uniti.
Nel 2016, in occasione del tentativo golpista di alcuni settori delle forze armate, il presidente turco approfittò per liberarsi dei seguaci di Gülen e di altri avversari, mandò in prigione 60.000 persone e destituì 100.000 dipendenti pubblici.
Il pragmatismo di Erdogan assomiglia a quello di Stalin e di Hitler nel modo di trattare quelle 100.000 persone, a cui fu impedito di avere una vita privata e fu ritirato il passaporto, così come alle loro famiglie. Alla domanda su come avrebbero potuto sopravvivere, il governo aveva risposto che anche se si fossero nutriti mangiando solo radici egli sarebbe stato “troppo buono” per loro.
Tra i funzionari colpiti vi sono centinaia di giudici e decine di migliaia di insegnanti e professori universitari, licenziati senza alcuna accusa formale.
E come ha reagito l’Europa? Con dichiarazioni vuote, dopo di che Erdogan è diventato più autoritario. Ha costruito un palazzo presidenziale di 300.000 metri quadri, con 1.150 camere, più grande della Casa Bianca e del Cremlino, dove c’è un trilocale dedicato alla degustazione del cibo per evitare di essere avvelenato. La costruzione è costata circa 500 milioni di euro, secondo le dichiarazioni ufficiali, ed un miliardo, secondo le stime dell’opposizione.
In difesa della UE potrebbe sostenersi che la Turchia non è membro dell’Unione europea e, di fatto, le sue azioni hanno notevolmente ridotto la probabilità di ammissione.
Ma non è il caso di Polonia e Ungheria, due membri della UE beneficiari di un grande sostegno economico.
Dal momento in cui la Polonia ha aderito all’UE nel 2004, ha ricevuto più di 100 miliardi di dollari in vari sussidi, il doppio del Piano Marshall per il valore attuale del dollaro e il più grande trasferimento di denaro nella storia moderna.
Malgrado ciò, il governo polacco ha avviato lo smantellamento delle istituzioni democratiche, da ultimo il sistema giudiziario, che ha spinto anche l’assonnata UE a mettere in guardia che per questo potrebbe perdere il diritto di voto, fatto che è stato accolto con indifferenza dal governo.
Malgrado ciò nessuno ha formalmente proposto di tagliare i sussidi che nel bilancio del 2014-2020 sono stati pari a 60 miliardi di dollari, pari alla metà di quello che il mondo spende per l’assistenza allo sviluppo per quasi 150 paesi.
Da parte sua, l’Ungheria, guidata dal 2010 da Viktor Orbán, che sostiene una “democrazia illiberale”, rifiuta di accettare gli immigrati, nonostante le sovvenzioni comunitarie, così come anche il primo ministro polacco Beata Szydło.
L’Ungheria, con la sua piccola popolazione di meno di 10 milioni di abitanti, rispetto ai 38 milioni della Polonia è il terzo destinatario di sovvenzioni comunitarie, circa 474 euro pro capite, mentre un terzo della popolazione mondiale vive con meno di quello.
Inoltre, la Banca Europea per gli Investimenti concede una sovvenzione netta di 1 miliardo di euro , e l’Ungheria riceve 2 miliardi e 400 milioni di euro del programma di sostegno alla bilancia dei pagamenti.
Polonia e Ungheria hanno formato il Gruppo Visegrad, insieme a Slovacchia e Repubblica Ceca, che sono in campagna permanente contro l’UE e le sue decisioni. Inutile dire che le sovvenzioni per questi ultimi due paesi superano di gran lunga i loro contributi.
Forse Erdogan, Orbán, Szydlo sono dittatori? Al contrario, sono stati eletti democraticamente come Rodrigo Duterte, nelle Filippine, Robert Mugabe in Zimbabwe, Nicolás Maduro, in Venezuela ed altri 30 presidenti autoritari nel mondo.
Ma in Europa è una novità, così come lo è un presidente statunitense, con una politica isolazionista e di confronto internazionale, eletto regolarmente, come Donald Trump.
Un sondaggio al termine dei suoi primi sei mesi in carica ha concluso che i suoi elettori tornerebbero ad eleggerlo e che il sostegno del Partito Repubblicano al governo è diminuito soltanto dal 98 al 96 per cento. A livello nazionale, la sua popolarità è scesa al 36 per cento. In altre parole, se ci fossero le elezioni ora sarebbe probabilmente eletto per un secondo mandato.
Questo ci porta a chiederci, perché continuiamo a credere che le elezioni equivalgono alla democrazia? Perché è così che la popolazione si esprime. Certamente alla gente non piace la corruzione, considerato il più grande problema dei governi attuali, secondo i sondaggi. Ma a meno che non si raggiungano livelli totalmente sistematici come in Brasile, i numerosi studi esistenti mostrano una correlazione tra la corruzione e la punizione elettorale.
La corruzione in politica è stata usata dai leader populisti per promettere di sbarazzarsi di essa, esattamente ciò che Trump ha fatto nella sua campagna. Ma ora, il conflitto di interessi e la mancanza di trasparenza sugli interessi privati sono senza precedenti alla Casa Bianca.
Questo ci porta ad un’altra domanda. Se le ideologie sono scomparse e la politica è diventata una questione di efficienza amministrativa e principalmente di personalità e non di ideologie, qual è il legame tra il candidato ed i suoi elettori, che continuano a votarli, malgrado tutto, come quelli che hanno votato per Erdogan, Trump, Orbán e Szydlo?
Forse è il momento di guardare alla politica con occhi nuovi? Cosa abbiamo imparato dalle elezioni degli ultimi anni?
Le persone si allineano sotto un nuovo paradigma che non è politico, nel senso che è stato utilizzato fino ad ora, ma si chiama identità.
Gli elettori eleggono coloro con i quali si identificano e li sostengono perché in ultima analisi, difendono la propria identità, senza preoccuparsi di altro. Non ascoltano altre argomentazioni, né le prendono in considerazione se non come “notizie false”. Vediamo su cosa si basa questa questione dell’identità, le quattro nuove divisioni.
La prima nuova divisione: città contro zone rurali, piccole città, villaggi, borghi. Nella Brexit, la gente delle aree urbane ha scelto di rimanere in Europa.
Lo stesso hanno fatto coloro che hanno votato contro Erdogan, che non è popolare a Istanbul, ma è molto popolare nelle zone rurali. Negli USA coloro che hanno votato per Trump erano in gran parte gli stati più poveri.
Lo stesso è accaduto con Orbán e Szydlo. Nessuno di loro sarebbe stato eletto se le elezioni si fossero limitate alla capitale ed alle città più grandi.
La seconda nuova divisione: votanti giovani ed adulti più anziani. La Brexit non sarebbe stata approvata se i giovani si fossero preoccupati di votare. Lo stesso vale per Erdogan, Trump, Orbán e Szydlo. Il problema è che una grande percentuale di giovani ha cessato di assumere un ruolo attivo nella politica perché si sono sentiti trascurati, esclusi dai partiti visti come macchine per sostenere se stessi, corrotti e inefficienti.
Naturalmente, questo ha giocato a favore di quelli che erano già nel sistema, che si perpetua senza una spinta generazionale per il cambiamento. L’Italia ha trovato 20 miliardi di dollari per salvare quattro piccole banche, mentre il totale dei sussidi per i giovani si aggira intorno a 2 miliardi e 328 milioni di dollari. Nessuna meraviglia se si sono sentiti abbandonati.
La terza divisione, anche questa è una novità, si riferisce alle ideologie che nel passato erano sostanzialmente più inclusive, anche se, naturalmente, il sistema di classe ha svolto un ruolo significativo. Questa divisione è tra coloro che hanno completato l’istruzione secondaria e coloro che non la hanno completata.
Questo divario si approfondirà drasticamente nei prossimi due decenni, quando la robotizzazione dell’industria e dei servizi coprirà almeno il 40 per cento della produzione.
Decine di milioni di persone rimarranno al di fuori del mercato del lavoro; e saranno quelle con meno istruzione che non potranno partecipare alla quarta rivoluzione industriale.
Le élite guardano con disprezzo le scelte fatte dagli elettori considerati ignoranti e provinciali, mentre quelli considerati vincitori raccolgono qualsiasi cosa utile a marginalizzarli.
Infine, c’è una quarta divisione, molto importante per i valori di pace e cooperazione come base della governance globale.
E’ ciò che divide coloro che vedono il ritorno al nazionalismo come una soluzione ai loro problemi, (e per questo odiano gli immigrati), e coloro che invece ritengono che il loro paese, in un mondo sempre più competitivo, sarebbe migliore se integrato in organizzazioni regionali o internazionali.
Due esempi estremamente semplici: l’Europa e gli Stati Uniti. L’UE ha fatto un sondaggio tra i nove milioni di studenti Erasmus, e borsisti del programma di scambio tra studenti di altri paesi. Più di 100.000 bambini sono figli dei borsisti che hanno sposato qualcuno incontrato all’estero: i veri europei.
Nel sondaggio, il 92 per cento degli intervistati ha detto che volevano più Europa, non meno.
E negli Stati Uniti, il classico elettore Trump è bianco, (un gruppo elettorale in declino, perché in ogni elezione ce ne sono due per cento in meno), non continua a studiare dopo la scuola superiore né a leggere giornali o libri ed è originario degli stati più poveri.
Gente che ha perso il lavoro, spesso per la delocalizzazione di fabbriche o miniere, convinta di essere vittima della globalizzazione, creatrice di grandi ingiustizie sociali ed economiche.
E questo perché per due decenni, sono stati utilizzati solo indici macroeconomici, come ad esempio il prodotto interno lordo (PIL) mentre gli indicatori sociali sono stati, in gran parte ignorati.
Come fosse la composizione della crescita indicata dal PIL non era una preoccupazione per il Fondo Monetario (FMI), la Banca mondiale, l’Unione europea e la maggior parte dei politici, che ciecamente credevano che il mercato fosse l’unico motore di crescita capace di risolvere problemi sociali: solo ora hanno cercato di tirare il freno, troppo tardi.
Il mondo ha assistito ad un’esplosione di diseguaglianza senza precedenti, cosa che contribuisce al nazionalismo e alla xenofobia nel divenire centrali nel dibattito politico.
Il nazionalismo non si limita a Trump, Erdogan, Orbán, Szydlo e Brexit. Anche la Cina, l’India, il Giappone, le Filippine, Israele, Egitto, Russia e molti altri paesi hanno governi nazionalisti e autoritari.
Questo ci porta a una conclusione molto semplice. O siamo nel passaggio ad un nuovo sconosciuto sistema politico che sostituisca l’attuale, non più sostenibile, che si basi su valori di giustizia sociale, di cooperazione e di pace (probabilmente adattando le attuali organizzazioni internazionali esistenti) o sarà difficile evitare conflitti, guerre e spargimenti di sangue.
Perché l’essere umano è l’unico animale che non impara dalle esperienze del passato?

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(*) Roberto Savio, giornalista italo-argentino, è fondatore ed ex Direttore Generale di Inter Press Service (IPS).
In anni recenti egli ha anche fondato Other News, un servizio che fornisce “Informazioni che i Mercati eliminano”.
Other News. In spagnolo: www.other-news.info/noticias/ in inglese: www.other-news.info

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