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I primi risultati della collaborazione tra Italia e Libia per bloccare le partenze dei migranti dalle coste libiche verso l’Italia sono positivi, ma richiedono miglioramenti.
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C’era da aspettarselo: non il “se”, ma il “quando” sarebbe avvenuto.
Ci riferiamo al dissenso, nell’ambito del Governo, reso pubblico con le dichiarazioni del Vice ministro Giro: “Riportare i migranti in Libia, in questo momento, vuol dire riportarli all’inferno”.
Sembra lecito chiedersi a questo punto quali fossero le alternative prese in esame dal Governo nel caso concreto dell’esame dell’evento in questione, quello cioè di schierare addirittura una flotta appena fuori delle acque territoriali libiche per segnalare ai guardacoste libici la localizzazione dei barconi colmi di migranti. Se non si trattava di facilitare l’intervento dei guardacoste, allo scopo di riportare sulla terraferma i migranti, salvando la loro vita, di cosa si sarebbe dovuto trattare?
La domanda appare lecita, come lecito sembra anche non condividere tutto o parte di quanto è stato fatto da parte del governo in carica e da quello che lo ha preceduto. Ma, al punto in cui siamo arrivati non dovrebbe essere prioritario, almeno da parte dei partecipanti alle scelte di governo, evitare la pur minima possibilità di bruciare la credibilità dell’esecutivo su una materia a rischio come quella in cui ci siamo imbarcati?
Tradotto: quale è la sede in cui si costruisce la volontà dell’organo collegiale “governo”?
Forse è stata trascurata qualcosa nella costruzione delle decisioni adottate finora?
Forse abbiamo dimenticato qualche passaggio importante della strategia posta alla base delle azioni dell’Italia? O non abbiamo tenuto sufficientemente conto dei rischi cui sottoponiamo i nostri militari che stiamo coinvolgendo nella nostra strategia? Oppure non abbiamo ancora concluso alcuni accordi internazionali con i paesi che dovrebbero accettare di riprendere i propri concittadini bloccati nei loro viaggi della speranza?
Legittime appaiono tutte queste preoccupazioni, come legittime sembrano le azioni da integrare nella nostra strategia.
Ciò che, invece, non ci sembra condivisibile è scambiare, nell’ambito della materia “comunicazione” una sede non idonea con quella idonea.
E’ noto che la maggioranza politica che sostiene il Governo ha il suo peso nelle decisioni che in sede collegiale devono essere assunte e che il ruolo del Presidente è anche quello che consente di mediare tra le diverse posizioni allo scopo di conseguire il migliore risultato atteso.
Sarebbe troppo aspettarci una scelta migliore per le sedi più idonee nelle quali affrontare la risoluzione dei problemi di governo? Soprattutto se in gioco c’è la vita delle persone?
Peraltro si tratta anche di una questione che riguarda il rapporto con la Libia, indicazione questa, geografica ma non politica, come ben sappiamo fin dalla distruzione del potere di Gheddafi. Un rapporto difficile nel quale si sono consumati un certo numero di inviati speciali dell’ONU considerando che ogni possibile sfilacciatura rischia di indebolire sul piano internazionale il ruolo dell’Italia, di ricacciare indietro quei piccoli passi effettuati finora, e di comprendere la reale portata della partnership franco-libica.
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::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::2155::/cck::