La parola

Autoreferenzialità

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La parola che abbiamo scelto, nelle spiegazioni dei dizionari molto scarne e stringate, manifesta se stessa potremmo dire al massimo grado. Come a dire che non è necessario altro per spiegarne il senso.

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La parola che abbiamo scelto, nelle spiegazioni dei dizionari molto scarne e stringate, manifesta se stessa potremmo dire al massimo grado. Come a dire che non è necessario altro per spiegarne il senso. Autoreferenzialità, dunque, indica semplicemente il fatto, la condizione di essere autoreferenziale. Ossia di chi fa riferimento esclusivamente a se stesso, trascurando o perdendo ogni rapporto con la realtà esterna e la complessità dei problemi cha la caratterizzano. Spiegando o giustificando tutto in base al proprio punto di vista e portando all’esasperazione la tendenza  a parlare ed agire riferendosi solo alla propria persona.
Come si può ben vedere, siamo dinanzi ad un termine presuntuoso e per convinzione autosufficiente. L’analisi potrebbe interrompersi qui, data la scarsità di riferimenti e di lessico, se non fosse che lo status che esso indica, che si delinea con il solo pronunciarlo ci immette in un mondo surreale dove per avere la spiegazione di cosa vuol dire autoreferenzialità, dobbiamo – guarda caso – fare riferimento a se stessa. Una deriva potremmo dire solipsistica!
E sì, perché tentando di entrare nel cuore del problema, ci imbattiamo in questa parola e in questo aggettivo diversi ma sostanzialmente identici nel significato e che ci soccorrono in questo tentativo quasi disperato di raccapezzarci!
Solipsismo, infatti è termine che deriva dal latino, da una sorta di concetto che diviene parola unendo solus «solo» e ipse «stesso». Cioè a dire, solo se stesso!  
In filosofia, ci dice il dizionario, si indica l’atteggiamento di chi risolve ogni realtà in sé medesimo, o dal punto di vista pratico (ponendo a metro delle azioni il proprio interesse personale) o da quello gnoseologico-metafisico (considerando l’universo come semplice rappresentazione della propria, particolare coscienza). Dall’Ottocento il solipsismo, rigorosamente inteso, è la posizione teoretica che assume la coscienza empirica, individuale, come fondamento di ogni forma di conoscenza: inizialmente connesso all’idealismo soggettivo, cioè alla dottrina che risolve ogni realtà nei contenuti soggettivi, particolari, della coscienza, è parzialmente superato nell’idealismo trascendentale di Immanuel Kant, che considera l’autocoscienza pura dell’«io penso» come fondamento universale e oggettivo del conoscere, cui tuttavia è ancora contrapposta la realtà autonoma della «cosa in sé»; il suo completo superamento avviene solo nell’ambito dell’idealismo oggettivo, in quanto posizione filosofica che elimina ogni contrapposizione tra la coscienza e la realtà. Per estensione nell’uso letterario o colto, indica soggettivismo, individualismo estremo, per cui ogni interesse è accentrato su di sé, ignorando o trascurando i problemi e gli interessi degli altri.
Come si vede, anche con l’apporto di questo termine, il problema sembra ricondursi a se stesso, in un cortocircuito senza vie di uscita. Per spiegare l’autoreferenzialità dobbiamo infatti fare riferimento a se stessa e non riusciamo a trovare altro materiale se non quello che gira intorno ad essa. In sostanza un incubo reale, da svegli e senza speranza!
Difficile allora calarci o provare a farlo nella realtà della nostra politica, dove autoreferenzialità e solipsismo hanno preso il posto di ogni altra cosa. Dire che i nostri politici, la nostra politica, sono autoreferenziali è infatti un dato per così dire “ontologico” e ci ricrea quella vertigine, quel vortice fatto appunto di autospiegazione e  autocertificazione dai quali non riusciamo ad uscire.
La rappresentazione che la politica fa del paese, della sua realtà, sfugge infatti alla realtà, ai dati fattuali, alle spiegazioni costruite dalla logica e dall’analisi di ciò che è! Ognuno immagina un paese diverso, propaganda un suo cambiamento diverso, un destino diverso. Solo che nessuna di queste letture è collegata al paese reale. E’ invece incredibilmente scollegata da esso, parziale nel caso migliore, e in sostanza tremendamente e totalmente “autoreferenziale”! Ecco che sempre lì si ritorna! A cercare di spiegare con la spiegazione!
Non che questa logica folle sia solo italiana. Basta guardare ad un unico esempio recente, quello della Catalogna. Lì un gruppo minoritario di persone e un governo anch’esso minoritario ha emanato una legge che prevede la liceità di un referendum per l’indipendenza, poi svolto, nel quale una minoranza di persone ha detto sì alla dichiarazione di indipendenza che si vuole portare a compimento! In pratica però, la legge che autorizza la dichiarazione è stata costruita ad hoc al di fuori e contro quella nazionale che impedisce questa possibilità salvaguardando l’unità della Spagna. Potremmo dire che è quanto di più autoreferenziale e solipsistico si possa immaginare: non posso fare il referendum per l’indipendenza e allora mi autorizzo da solo a farlo e da solo stabilisco il suo risultato e le conseguenze! Un delirio di autoreferenzialità ai limiti del trattamento sanitario obbligatorio!
Ma tant’è! Dove non arrivano ancora gli italiani sono arrivati i catalani! L’unica riflessione che deriva da questa estenuante ricerca di senso è che per spiegare l’inspiegabile, basta usare quest’ultimo per arrivare ad una qualche conclusione che, senza senso, lo spieghi.
L’importante è crederci… o credere in se stessi, anche contro la logica e il buon senso! Del resto la società virtuale ci consente di apparire quello che non siamo, di rappresentarci come meglio crediamo anche a dispetto della realtà e della decenza. “Io so’ io e vuoi nun siete un … ” recitava mirabile il marchese del Grillo anticipando l’erratica e senza fine ricerca della spiegazione dell’autoreferenzialità, “solipsisticamente” parlando, è ovvio! A questo punto è necessario ricorrere ad un farmaco contro il mal di testa!

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::2248::/cck::

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