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Sud Sudan: il paese dimenticato

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Padre Daniele Moschetti con il giornalista Riccardo Cristiano alla presentazione del suo libro “Sud Sudan, il lungo e sofferto cammino verso pace, giustizia e dignità”. Foto di Gabriella Impallomeni
Intervista a Padre Daniele Moschetti, missionario comboniano attivo in Sud Sudan da oltre sei anni. Un’esperienza di fede ma soprattutto di aiuto materiale ad una popolazione sterminata dalla guerra civile che…

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Intervista a Padre Daniele Moschetti, missionario comboniano attivo in Sud Sudan da oltre sei anni.

Copertina del libro di Padre Daniele Moschetti “Sud Sudan, il lungo e sofferto cammino verso pace, giustizia e dignità” Foto di Gabriella Impallomeni per “Italiani”

Un’esperienza di fede ma soprattutto di aiuto materiale ad una popolazione stremata dalla guerra civile che ha mietuto oltre 300mila vittime e provocato sei milioni di profughi, in fuga dalle violenze scatenate dalle rivalità tra i due maggiori gruppi etnici del paese: i Dinka e i Nuer. Una guerra senza esclusione di colpi, combattuta anche da “bambini soldato“, strappati dalle loro famiglie e costretti a commettere i crimini più efferati. Un’esperienza drammatica che ha spinto Padre Moschetti a scrivere un libro dal titolo “Sud Sudan, il lungo e sofferto cammino verso pace, giustizia e dignità”, con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sul dramma del paese più giovane dell’Africa. L’opera si avvale dell’introduzione di Papa Francesco e dei contributi di Monsignor Giorgio Biguzzi, Padre Tesfaye Tadesse, Padre Alex Zanotelli e Padre Giulio Albanese ed è edita dalla casa editrice Dissensi. I proventi delle vendite andranno alle organizzazioni che lavorano in Sud Sudan per alleviare le sofferenze della popolazione.
Incontriamo Padre Moschetti a margine della presentazione del libro avvenuta venerdì scorso presso la libreria Griot di Roma.

Padre Moschetti, ci può raccontare cosa sta accadendo in Sud Sudan, un paese quasi misconosciuto alla realtà italiana.

Sud Sudan Fonte: http://sicurezzainternazionale.luiss.it/2017/05/09/sud-sudan-piu-di-2-milioni-di-bambini-sfollati/

In effetti il Sud Sudan è conosciuto da poche persone. È il 193esimo paese del mondo ed il 54esimo dell’Africa. Quando faccio incontri e parlo del Sud Sudan la gente non sa neanche che sia uno Stato, oltretutto l’ultimo nato nel mondo. Questa nascita che risale al 9 luglio del 2011, è avvenuta dopo un cammino lungo quarant’anni, due guerre, (55-72) e (83-2005), durante le quali ci sono stati milioni di morti, e uno scontro Nord Sudan Sud Sudan. È il paese più grande in Africa, 2 milioni e mezzo di chilometri quadrati. Nord musulmano, islamico, quindi arabo, e Sud cristiano, animista, in parte musulmano. Questo scontro è avvenuto immediatamente dopo l’indipendenza avvenuta il primo gennaio 1956. A causarlo inizialmente ci sono state ragioni religiose e culturali, perché Khartoum voleva imporre la cultura, la lingua araba e la religione islamica, cosa che il Sud non ha accettato. Da quel momento in poi c’è stato questo conflitto che si è fatto più forte successivamente. Poi, negli anni 70, le cose sono addirittura peggiorate con la scoperta del petrolio. In seguito, nel 1983, è cominciata un’altra guerra protrattasi fino al 2004, che ha fatto oltre 2 milioni e mezzo di morti sia a causa dei combattimenti che della fame e delle malattie. Poi nel 2005 americani, italiani, norvegesi ed inglesi, sono riusciti ad intavolare trattative di pace tra Al Bashir, il Presidente del Sudan, e John Garang, leader indiscusso dell’ SLPA, l’esercito ribelle del Sud. Dopo lunghi negoziati le parti sono arrivate ad un accordo di pace, che prevedeva che il Sud del paese potesse diventare indipendente nel futuro, ma c’erano delle fasi da rispettare prima di arrivare a quest’esito. Nel frattempo John Garang morì, nella caduta dell’elicottero che lo trasportava e subentrò Salva Kiir, il Presidente attuale, leader dei Dinka. Questo ha portato ad una situazione ancora più difficile, perché Salva Kiir non aveva la capacità ed il carisma di John Garang, di esercitare la fiducia di tutti i sud sudanesi. Kiir, da quel momento, ha fatto gli interessi solo del popolo Dinka, e non degli altri popoli del Sud Sudan. Quando finalmente si riuscì ad arrivare al referendum per l’autodeterminazione del Sud la gente votò per l’indipendenza, un voto che aveva davvero il supporto di tutte le etnie del Sud Sudan. Ma dal momento in cui incominciò l’indipendenza, il 9 luglio 2011, Salva Kiir come Presidente e Riek Machar come Vicepresidente, rappresentanti delle due maggiori etnie del paese, i Dinka ed i Nuer, da tempo rivali, decisero di acuire lo scontro, facendo sfociare le violenze in una vera e propria guerra civile scoppiata il 15 dicembre del 2013 e che stiamo vivendo ancora oggi. Questa guerra civile, dove ci sono state atrocità inenarrabili, è un dramma dimenticato, perché pochi in Italia e nel mondo ne parlano, eppure ci sono state oltre 50mila vittime, la maggior parte dovute ai combattimenti ma molte causate dalla fame e dalle malattie. In questo momento, lo Stato, controllato dai Dinka, non si occupa della situazione del proprio popolo, ma si interessa solo della guerra che sta cercando di vincere a tutti i costi nei confronti dei ribelli.

Lei parlava del ruolo che potrebbe avere Papa Francesco nell’accendere i riflettori dei media sul dramma del Sud Sudan: si era parlato addirittura di una visita, poi momentaneamente accantonata. Cosa potrebbe fare il Pontefice, non solo per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale ma soprattutto nel portare conforto alle fasce più povere della popolazione che in questo momento si sentono abbandonate?

Visita al Papa Francesco di Padre Daniele Moschetti (1.10.2015). http://www.comboni.org/contenuti/107770-p-daniele-moschetti-parla-sul-sud-sudan

Hai detto benissimo, sintetizzando gli obiettivi. Sicuramente una visita del Papa potrebbe accendere i riflettori su questo dramma umanitario: una guerra assurda combattuta dalle elite che manipolano i giovani che vengono uccisi al fronte. La presenza del Pontefice potrebbe anche riuscire a far ripartire i processi di pace e di riconciliazione che le chiese stanno già portando avanti tra mille difficoltà. Il governo, ma anche i ribelli, hanno timore delle chiese, perché i religiosi stanno spronando i potenti sui veri valori, come il rispetto della vita ed il rispetto delle risorse di cui questo paese è ricco. Un messaggio che le elite non gradiscono, anche perché sono loro ad appropriarsi delle ricchezze trasferendole all’estero. Un ruolo difficile dunque quello dei religiosi, quasi profetico, al limite del martirio. Ma purtroppo questo è il prezzo da pagare se devi dire la verità a dei leader militari sanguinari e disposti a tutto. Molti giornalisti hanno pagato con la vita, molte riviste, così come le radio, sono state chiuse. Secondo le autorità bisognerebbe dare notizie soltanto filo governative. Diventa dunque sempre più difficile sopportare tutto questo, anche da un punto di vista materiale, dato che non si produce nulla in Sud Sudan: non ci sono industrie, tutto viene importato dal Kenya con costi molto alti. Poi con l’850% di inflazione, il denaro non vale nulla. Se si tiene conto del fatto che non ci sono investitori, non c’è lavoro, capisci che la situazione diventa insopportabile.

Ultima questione, lei è un Padre combinano, al di là del rapporto spirituale con la popolazione e del messaggio di fede, voi puntate molto sull’educazione, dato che in Sud Sudan è altissimo il numero di analfabeti, soprattutto tra le donne. Secondo lei attraverso l’educazione si può arrivare ad una pace duratura?

http://it.wfp.org/storie/sud-sudan-gli-aiuti-umanitari-raggiungono-le-aree-isolate-del-paese-dilaniato-dal-conflitto

La donna in Africa è la chiave di tante cose. E’ la donna che si porta il peso della famiglia, del presente e del futuro dei figli. Se sei una donna educhi un popolo, ed in questo noi crediamo profondamente. Questo però si scontra con quello che sono i costumi e le tradizioni di una cultura come quella dei Dinka e Nuer: la donna deve procreare, quindi molte ragazze vengono vendute molto giovani, a circa 12/13 anni, al marito che porta la dote, quindi porta vacche. Quindi è proprio a causa di questo aspetto “culturale” che la donna non può emanciparsi. Nelle altre etnie di agricoltori, invece che nomadi, la donna può avere più spazio, anche se minimo nel contesto culturale sud sudanese focalizzato sulla figura del maschio. Anche la poligamia gioca un ruolo molto importante nella struttura sociale: un uomo può avere sei, dieci mogli. Però deve pagare una dote, quasi sempre costituita da vacche. Quindi la gloria non sono le donne, ma le vacche, quante vacche tu hai.

Lei diceva che la maggioranza della popolazione del Sud Sudan è cristiana ma esiste la poligamia?
Esatto, domanda interessante. Il 50% degli abitanti sono cristiani, quindi persone che si battezzano, ma nel momento in cui gli uomini prendono un’altra donna, a messa ed in chiesa non ci vengono più. Le donne sono quelle che pagano lo scotto maggiore di questa consuetudine, essendo spesso seconde, terze o quarte mogli, non possono ricevere i sacramenti, non possono fare quello che normalmente altre donne possono fare. Il problema teologico dunque è come consentire a queste donne la possibilità di vivere una vita di fede e di impegno cristiano anche se sono poligame. Con il Sinodo si è fatto qualche passo in avanti, ma l’impegno deve diventare sempre più localizzato. E’ una dimensione culturale molto difficile dal punto di vista pastorale. Papa Francesco si è avvicinato molto al discorso dei separati e dei divorziati, ma questa realtà, che riguarda milioni di donne in Africa, deve essere presa in considerazione. Questo è un aspetto che deve essere vagliato attentamente. Noi spesso abbiamo un “eurocentrismo” anche in questo senso: vogliamo applicare le nostre regole, prescindendo dalle culture. Questo non è possibile. Non è che tutti devono fare come facciamo noi, e questo è un discorso che va aldilà della cultura e deve essere al centro delle nostre riflessioni.

(Intervista realizzata con la collaborazione di Gabriella Impallomeni)

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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::2252::/cck::

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