La parola

Sindrome

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Può apparire un termine, colto, elitario ed è invece nella sua derivazione linguistica dall’antico greco, quanto di più intuitivo si possa immaginare.

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Può apparire un termine, colto, elitario ed è invece nella sua derivazione linguistica dall’antico greco, quanto di più intuitivo si possa immaginare. Sindrome è dunque la parola di questa settimana, per alcune ragioni che andremo ad illustrare più avanti. Il vocabolo viene dal greco συνδρομ (appunto sindrome, e nasce dall’unione del previsso “sun” (il nostro con) e dalla parola “drome” ossia la corsa dal classico ellenico δρμος (si pensi ad autodromo, cinodromo, cosmodromo tra i tanti). Il significato letterale è “corsa insieme”, o anche “concorso, affluenza” nel senso di affluire insieme. Esiste anche nel linguaggio medico come termine che, di per sé stesso, ossia senza ulteriori specificazioni, indica un complesso più o meno caratteristico di sintomi, senza però un preciso riferimento alle sue cause e al meccanismo di comparsa, e che può quindi essere espressione di una determinata malattia o di malattie di natura completamente diversa; è per lo più seguito da opportune specificazioni che orientano sulla sede, natura, sul carattere o sulla causa dei disturbi: ad esempio, sindrome addominale, vertiginosada schiacciamento, da immunodeficienza e via dicendo. Spesso si assiste a sindromi eponime, quelle contrassegnate dal nome dell’autore che le ha descritte, pensiamo a quella di Down, più frequente nel parlar comune.
Il termine ha avuto poi notevole estensione anche nel linguaggio corrente, in numerose espressioni, alcune ironiche o anche scherzose, suggerite da avvenimenti occasionali di vasta risonanza e diffuse attraverso la stampa: come quella di Stoccolma ovvero il fenomeno psicologico, osservato per la prima volta in alcuni individui presi in ostaggio nel corso di una rapina in una banca della capitale svedese nel 1973, per cui, superato lo shock iniziale, il sequestrato simpatizza, in parte identificandosi, con il sequestratore e manifesta forme di ostilità verso il mondo esterno; o ancora quella di Stendhal, nome di varie manifestazioni di turbamento psichico (pianto, svenimenti) attribuite all’alterazione emotiva alla quale talora vanno soggetti i turisti che in breve tempo visitano centri storico-artistici dove si concentra un gran numero di capolavori (tale sarebbe stata, secondo quanto egli stesso dichiara, la natura dello svenimento dello scrittore francese nella chiesa fiorentina di Santa Croce); al titolo di un film statunitense del 1979 The China Syndrome (quello che narrava le catastrofiche conseguenze della fusione di un reattore nucleare),  si deve anche un’altra tipologia. Ecco allora che nasce la locuzione sindrome cinese, passata a significare la psicosi collettiva che può essere originata dall’improvviso timore di una rovinosa esplosione nucleare, il cui significato assai immaginifico presumeva possibile che il nocciolo di un reattore atomico, fondendo in modo incontrollato, potesse trapassare il globo per causare esplosioni dall’altra parte (in questo caso dagli Stati Uniti alla Cina appunto!)
Come si vede, il tratto comune è abbastanza semplice, ossia si identifica con essa il concorso di una serie di elementi, situazioni, condizionamenti, concomitanze che ne fanno identificare uno specifico senso non sempre razionale e spiegabile.
Il nocciolo della nostra riflessione si posa allora sugli avvenimenti di queste settimane in Catalogna e nei giorni passati in Lombardia e in Veneto. Nel primo caso si assiste ad una regione a forte autonomia nello stato spagnolo che decide per ragioni complesse, storiche ed economiche, di tentare la secessione da Madrid. La ragione avrebbe fatto comprendere che la Costituzione iberica non permette il distacco e indotto ad azioni conseguenti nell’alveo delle norme esistenti. Le scelte dei dirigenti catalani hanno invece dato l’impressione di aver imboccato appunto una sindrome indipendentista che non tiene conto della realtà vigente, e pretende essa stessa di farsi realtà contro logica e storia. Difficile comprendere appieno come si sia potuto innescare (per responsabilità comuni e reciproche della parti in causa) un simile delirio fatto di irrigidimento e incapacità di partire dai dati reali e non da quelli vagheggiati.
Per quel che riguarda le due regioni italiane tra le più avanzate e ricche, il crinale che separa la giusta richiesta di maggiore autonomia locale da uno stato di sindrome come quella di volere uno statuto speciale, e tenere per sé la totalità o quasi delle risorse, cancellando il principio di sussidiarietà che permea la Costituzione italiana, è certamente molto labile. Anche in questo caso la richiesta inespressa è quella che fa pensare di più ad una sindrome. Non si blatera più di secessione del nord, ma si vuole chiaramente creare una separazione tra le due aree e il resto del paese. La carta fondamentale prevede amplissime competenze regionali e va detto che non in tutti i casi i risultati sono stati virtuosi in questi decenni, ma non prevede invece forme sotterranee di distacco sostanziale dai doveri legati all’unità nazionale, valore, come in Spagna, sancito dalle norme statuali immodificabili a meno di stagioni costituenti in direzione federalista. Ma questo è, per così dire, un altro paio di maniche!
Quel che fa riflettere non è la richiesta autonomista in sé, legittima e assolutamente coerente con il sistema del decentramento, ma la sottesa pretesa fiscale contenuta nella domanda di fondo: statuto speciale. Insomma che Zaia e Maroni (più il primo per ragioni di elettorato, che si è espresso ampiamente) immaginino Lombardia e Veneto come il Trentino-Alto Adige. Se così fosse saremmo contro la logica e la storia. L’autonomia speciale nasce in questo caso da ragioni storiche precise, ed è stato il punto di arrivo di un processo tortuoso e faticoso e neppure pacifico in alcuni momenti. Per Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia, gli statuti particolari hanno tenuto conto di condizioni storiche, di situazioni geografiche particolari che hanno spinto i costituenti a prevedere uno status specifico, sempre nell’alveo dell’unità nazionale. Simili situazioni non si riscontrano appieno nei due casi oggetto di referendum. E’ sperabile dunque che la sindrome rimanga silente ed innocua. Altrimenti perché non immaginare una riedizione della Toscana leopoldina, degli stati pontifici o del regno delle Due Sicilie. Anche qui la storia potrebbe dire molto. La saggezza politica ed istituzionale consiglierebbe di attenersi alla realtà e non rinfocolare scenari dai quali tutti avremo da perdere! Quel che accade a Barcellona ne è la riprova: Il governatore Puidgemont potrebbe trovarsi in una Catalogna libera, ma estremamente povera e fuori dall’Europa. La forza delle nostre radici continentali fatte di incredibili differenze è proprio quella di riconciliare, avvicinare e non di acuire spaccature o far risorgere artificialmente faglie che la storia ha sepolto e sovente al prezzo di sofferenze, morti e dolori indicibili.

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::2277::/cck::

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