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Affermare che occorre una nuova “battaglia” contro l’ignoranza nel nostro paese è certamente poco simpatico, ma è altrettanto vero, soprattutto nell’era della rete dove verità, fantasia, menzogna mostrano confini tanto labili quanto inesistenti.
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Affermare che occorre una nuova “battaglia” contro l’ignoranza nel nostro paese è certamente poco simpatico, ma è altrettanto vero, soprattutto nell’era della rete dove verità, fantasia, menzogna mostrano confini tanto labili quanto inesistenti.
Forse torna indicativo e fonte di ispirazione l’antico monito attribuito a Socrate che recitava “gnòti sautòn” (con la g pronunciata dura), ossia “conosci te stesso!”. Espressione da molti dimenticata dopo gli anni del liceo (quando ancora il greco antico era materia obbligatoria) e desueta oggi dove anche l’italiano mostra qualche evidente crepa sin dalle prime classi e non per l’inevitabile melting pot culturale di società aperte o comunque osmotiche anche contro volontà! Quanto per la corta memoria proprio nella scuola che dovrebbe tramandare il senso è il valore unitario della lingua e della cultura del paese delle cento città e dei mille intrecci millenari.
Non è questa riflessione un lamento del tempo perduto, né tanto meno intende essere una reprimenda o una critica ad alcuno. Ma è la premessa necessaria per sottolineare una “ignorantia” che “non excusat” (non è cioè accettabile od esimente): quella del ceto politico di questo paese. Un ceto che se è specchio della realtà mostra senza smentita un’immagine deformata e deformante. Passati i tempi del “che c’azzecca” quasi romantico dell’allora on. Di Pietro, oggi a pochi anni di distanza assistiamo ad una degenerazione inarrestabile che farebbe inorridire anche il Celentano del film “il re degli ignoranti” (metafora malinconica di quella che era la terra analfabeta del mitico maestro televisivo Alberto Manzi.
Oggi, appare evidente, come non sfoggiare aforismi o dotte citazioni per sostenere il proprio pensiero, sia divenuto costume generale. Piuttosto si rispolverano non antichi gerghi dialettali degni di rispetto e di storia, ma la loro degenerazione volgare nel vero senso peggiore del termine. E quando si cerca di “infiorettare” le proprie parole tentando l’affondo “culturale” ecco allora che si arriva al ridicolo. Come è accaduto proprio qualche giorno fa all’aspirante maximus al premierato indicato dal movimento di Grillo. Non pago di aver inanellato ogni genere di gaffe e di svarione, peraltro affermati con la sicumera di chi pensa di essere nel giusto, è arrivato a sostenere di volere avere confronti tv soltanto con i propri “alter ego” e non come sarebbe stato corretto i propri “omologhi” come ha sottolineato più di un commentatore.
Ora che il soggetto abbia un’indubbia autorappresentazione di altissimo livello è un dato “ontologico”, ma che rispolveri gli altri se stesso (come in un delirio hitleriano quando il leader nazista si contornava di sosia, ma per motivi di sicurezza personale, per la quale ogni sosia poteva essere eliminato al suo posto) appare quanto meno improvvido e singolare. Forse un mitico “bagno in Arno” di dantesca memoria potrebbe aiutarlo se mai avesse l’umiltà di riconoscere la sua ignoranza e non si lanciasse in voli pindarici che richiederebbero almeno una minima infarinatura.
Ignoranza, dunque, il termine di questa settimana. Con un cambio logico abbiamo prima espresso il senso di questa digressione per occuparci ora del significato della parola. Il suo senso immediato indica l’ignorare determinate cose, per non essersene mai occupato o per non averne avuto notizia e per scusarsi di non intendersi di una data materia o di ignorare cose che si dovrebbero sapere.
Più comunemente si indica con essa la condizione di chi è ignorante, cioè privo d’istruzione e di chi non conosce in generale. A volte in senso ironico si dice beata ignoranza per sottintendere che a volte non sapere è meglio che sapere: felice colui che può vivere una vita semplice e tranquilla senza essere tormentato dai problemi che il sapere porta con sé. Si utilizza anche come sinonimo di mancanza di educazione, quindi di villania (con la singolare confusione che il termine villa anche in altre lingue neolatine indica la città, e che invece si definisce qualcuno villano come se venisse dal contado! Potenza della lingua italiana e della sua capacità di far convivere gli estremi. Oltreché mancanza di conoscenza sufficiente di una o più branche della conoscenza, l’ignoranza può indicare anche uno stato di scostamento per così dire tra la realtà ed una percezione errata della stessa.
Ancora in senso comune il termine delinea la mancanza di conoscenza e di qualche particolare sapere, inteso in generale o su di un fatto specifico e può altresì significare il non avere informazioni su un fatto o su un argomento.
Questa è l’accezione originaria del termine, che deriva direttamente dalla parola greca gnorizein (conoscere, si ricordi il gnoti socratico) attraverso il latino ignorare. Successivamente, l’aggettivo ignorante cioè colui che ha ignoranza si è evoluto in senso dispregiativo, indicando coloro i quali sono senza educazione o cultura. Oggi il metro di valutazione sta inevitabilmente mutando in considerazione della reale situazione di ignoranza, cioè di non conoscenza imperante e nella difficoltà stessa di comprendere e stabilire i confini della conoscenza e quindi del sapere e in conseguenza della cultura.
Torna utile forse qualche definizione illuminante più di tante spiegazioni. Come ad esempio quella di Edgar Allan Poe secondo il quale “l’ignoranza è una benedizione, ma perché la benedizione sia completa deve essere così profonda da non sospettare neppure se stessa! Quando si dice l’ironia britannica! O ancora la citazione di anonimo “devo ancora incontrare un ignorante che non cerchi di insegnarmi qualcosa”. Su tutti sempre Socrate che diceva “credere di sapere quello che non si sa non è veramente la più vergognosa forma di ignoranza”?
Per far spuntare un sorriso, amaro magari, ma sorriso, citiamo sempre un anonimo sicuramente sagace “la mia ignoranza, pur avendo grosse lacune, è enciclopedica: copre tutti i campi dello scibile umano” o l’ignoranza è un po’ come l’alcool: più se ne ha, meno si percepisce l’effetto.
Infine, una piccola summa teorica e pratica: è meglio tacere e lasciar pensare di essere ignorante che aprire la bocca e togliere ogni dubbio?
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::2317::/cck::