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Dalla partecipazione del Canada alle operazioni di peace keeping in Mali a supporto della “G5 Sahel” alle prime iniziative per la realizzazione della logistica, in attesa del vertice del 16 dicembre.
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L’opzione iniziale per la partecipazione del Canada alle operazioni di peace keeping in Mali da considerare in ambito ONU era stata prevista inizialmente nel limite di 600 unità. Ma dopo ben tre missioni degli esperti canadesi quelle autorità hanno ridimensionato l’impegno iniziale.
Sono state necessarie visite sul posto ed analisi effettuate dagli esperti canadesi per decidere un tipo di intervento diverso da quello inizialmente previsto: non più una missione con una forza di 600 unità, bensì più interventi con una forza ciascuno di 200 unità. E, secondo quanto riporta l’agenzia Reuters, Jean-Pierre Lacroix, sottosegretario delle Nazioni Unite e, dal febbraio scorso, nuovo capo delle operazioni per il mantenimento della pace, è favorevole ad un “impegno intelligente”.
La riduzione del numero di peace keeper, si è voluto sottolineare, non significa disimpegno, bensì flessibilità e capacità di allocare risorse dove vi è più necessità.
Secondo quelle autorità, inoltre, il processo di pianificazione richiesto dalle attività che si vogliono realizzare richiederà non meno di sei mesi. (Reuters).
Un compromesso, dunque, che potrebbe risultare anche efficace, a seconda dei punti di vista e, soprattutto, degli obiettivi da raggiungere, considerando che tra gli obiettivi da conseguire, quello della minimizzazione delle perdite di vite umane costituisce un obiettivo imprescindibile.
Apparentemente non si tratterebbe di una previsione volutamente esagerata con secondi fini. Una conferma indiretta si riscontrerebbe, infatti, dall’operazione Vacca Nera, di cui abbiamo dato conto nell’edizione del 15 novembre scorso.
E’ di pochi giorni fa, infatti, la prima missione militare sul campo della forza antiterrorismo G5 Sahel denominata Hawbi [vacca nera], che ha potuto constatare lo stato dei lavori di costruzione della logistica della forza multinazionale, per la cui sede è stata scelta la località dove si incontrano le frontiere di Mali, Niger e Burkina Faso e secondo indiscrezioni le difficoltà incontrate allungano i tempi di realizzazione del progetto.
Ma è anche di pochi giorni fa quello che viene definito dagli specialisti un test per il ritiro delle truppe di AMISOM, che operano su mandato dell’Unione Africana, dal fronte della Somalia. Tutto sommato sembra accreditarsi la tesi di una consistente sottostima del progetto iniziale e dell’evoluzione del tipo di attività da fronteggiare.
Secondo quanto pubblica Caleb Weiss (*) lo scorso 16 novembre, infatti, almeno 26 attacchi sono stati realizzati con la partecipazione di Al Qaeda nel Mali e nei paesi confinanti, Burkina Faso e Niger, la maggior parte dei quali nel Mali centrale ed uno di questi ha avuto come obiettivo il Presidente della Corte Suprema di Malta, costato la vita a cinque soldati maliani ed un civile.
(*) Caleb Weiss già stagista della Foundation for Defense of Democracies e collaboratore del The Long War Journal
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::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::2328::/cck::