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Sono passati già dieci anni dalla bolla dei mutui subprime che innescò la più grande crisi finanziaria del dopoguerra, con tutte le conseguenze e ricadute sul tenore di vita di molti cittadini dei paesi occidentali.
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Sono passati già dieci anni dalla bolla dei mutui subprime che innescò la più grande crisi finanziaria del dopoguerra, con tutte le conseguenze e ricadute sul tenore di vita di molti cittadini dei paesi occidentali. Sul banco degli imputati vennero chiamate le istituzioni che avevano permesso il proliferare di attività in seguito divenute miccia e polvere per l’esplosione della finanza e dei mercati.
Il ricorso eccessivo alla leva finanziaria, al debito e al credito come motori della crescita economica, secondo il modello neoclassico della perfetta allocazione delle risorse che si incorporano nei prezzi, provocò una recessione globale, con tutte le conseguenze che ancora oggi scontiamo.
Per salvaguardare la tenuta del sistema capitalistico e dei mercati finanziari, tutte la banche centrali dei paesi occidentali intervennero inondando di liquidità il sistema, cercando di salvaguardare l’attuale assetto economico mondiale. Il trasferire quella che tecnicamente era una crisi finanziaria privata alla finanza pubblica, attraverso i vari QE (allentamento monetario), ha provocato una serie di conseguenze che oggi sono all’attenzione di politici ed economisti mondiali.
La stabilizzazione del sistema finanziario ha lasciato come conseguenze una crescita economica molto bassa, con un incremento delle iniquità, alta disoccupazione giovanile e una sfiducia generalizzata verso le istituzioni.
In base ad alcuni modelli economici, queste manovre straordinarie avrebbero dovuto portare a ritmi di crescita molto più sostenuti, con un incremento dei prezzi spinti dalla ritrovata occupazione e ripresa dei consumi. In realtà, questa anomala epoca a tassi di interesse negativi ha sostenuto i prezzi delle varie attività finanziarie, come titoli e bond di varia natura, senza che l’economia reale ne abbia beneficiato, con molti paesi che hanno appena superato i livelli di Pil del 2007.
La paura che ne deriva è legata essenzialmente al momento in cui le banche centrali cercheranno di riposizionarsi su un cammino di neutralità, interrompendo le manovre monetarie espansive, alzando i tassi di interesse in maniera graduale, come hanno iniziato a fare gli Stati Uniti d’America. Agli attuali livelli di crescita economica, un incremento repentino dei tassi di interesse farebbe aumentare il rischio di nuove recessioni in un mondo dove l’indebitamento privato e pubblico ha raggiunto livelli record mai visti nella storia dell’umanità. In quel caso, le manovre monetarie potrebbero essere già esaurite, con fondati timori di impossibilità di interventi risolutivi.
Riprendere un dibattito sul fallimento del mercato, come materia di discussione all’interno dei vari approcci metodologici, potrebbe essere una questione di priorità per disinnescare una ulteriore bolla speculativa, che la storia del liberismo finanziario ci ha insegnato essere insita nel sistema. Sistema che ha generato un calo indiscriminato dei redditi reali negli ultimi dieci anni e peggioramento del benessere per i cittadini. Benessere che può e deve uscire dalle stanze di Wall Street.
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::autore_::di Gianluca Di Russo::/autore_:: ::cck::2351::/cck::