::cck::2363::/cck::
::introtext::
La parola di questa settimana ci appare bifronte, nel senso che rappresenta due facce di una stessa medaglia.
::/introtext::
::fulltext::
La parola di questa settimana ci appare bifronte, nel senso che rappresenta due facce di una stessa medaglia. Il primo passo è analizzare il termine scelto che è diaspora, un vocabolo di origine greca (che deriva dal verbo διασπείρω, ossia diaspeiro, che alla lettera vuol dire disseminare). Il significato originario è quello della “dispersione di un popolo nel mondo dopo l’abbandono delle sedi di origine”o della “dispersione in varie parti del mondo di un popolo costretto ad abbandonare la sua sede di origine” e per via estensiva “la dispersione di individui in precedenza riuniti in un gruppo”.
La storia, anche molto antica, ci parla di diaspore nel senso di dispersioni in varie parti del mondo di un popolo costretto ad abbandonare la sua sede di origine. In particolare, si ricorda la diaspora degli Ebrei, dopo le deportazioni in Assiria (721 a.C.) e a Babilonia (586 a.C.). Un dato storico che discende dalla fine di un’entità politica ebraica in Palestina con la duplice distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani nel 70 e nel 135 d.C. Di segno contrario alla diaspora provocata dai Romani, il ritorno in Palestina degli Ebrei dispersi divenne uno dei più comuni della letteratura apocalittica e delle aspettative messianiche del giudaismo.
La parola di cui ci occupiamo è stata ripresa, in età contemporanea, per indicare a dispersione di membri di una comunità in paesi dove la maggioranza degli abitanti segue una fede diversa o in relazione a vicende politiche che hanno portato alla dispersione di gran parte di alcune popolazioni. Tra i molti casi simili quello più recente è quello che riguarda i Rohingya, popolazione islamica e minoranza in Myanmar.
Si parla poi, per analogia, di diaspora in linguistica in relazione alla frantumazione della originaria unità linguistica indoeuropea, cioè la ramificazione e successiva differenziazione del nucleo di dialetti da cui si svilupparono le varie lingue storiche oggi assegnate alla famiglia indoeuropea, in conseguenza degli spostamenti dei popoli che, dall’area molto più ristretta dove in origine tali dialetti erano parlati, si diffusero (a partire dalla fine del 3° millennio a.C.) nell’Europa centrale e poi occidentale, in Asia Minore e in India.
Simile, ma non esattamente coincidente, il termine di integrazióne con il quale si intende l’operazione di disintegrare, il processo di disintegrarsi, perdita dell’integrità; in particolare in fisica, è processo, spontaneo oppure provocato artificialmente, per cui un nucleo atomico si trasforma in un nucleo diverso emettendo particelle varie (alfa, beta, mesoni, ecc.) ed energia elettromagnetica (raggi gamma). Talora anche usato come sinonimo didecadimento. Si parla anche di sminuzzamentodi sostanze tenaci: come fibra di legno, o di una corteccia. O ancora di perdita della coesione o disgregazione più usato in analisi politiche e/o sociologiche. Proprio in osciologia con accezione specifica, si vuol indicare la perdita dell’organizzazione sistematica e della funzionalità armonica e unitaria di un gruppo sociale, dovuta a particolari condizioni economiche, politiche; con riferimento a piccoli gruppi o a sottogruppi a carattere funzionale, è più usata l’espressione disorganizzazione sociale.
Come dicevamo, con una piccola forzatura due facce di una identica medaglia della quale descrivono diverse “sfaccettature”. La nostra riflessione, dunque, si rivolge come sempre a quanto accade nel nostro Paese, in quel territorio che una volta si identificava con la politica. Qui abbiamo assistito a diverse forme di dispersione, diaspora o disintegrazione, fenomeni legati a volte, molto di rado, a questioni di natura ideologica o politica in senso stretto, più spesso a divergenze di natura personalistica o di gruppo ammantate naturalmente da vaste ed altisonanti ragioni giustificatrici.
Pensiamo alla scissione a sinistra del Pd che sta cercando ancora un’identità, alla vera esplosione del centrodestra nel 2011, e in queste ultime settimane, alla conclusione dell’esperienza politica del centro politico distaccatosi da Forza Italia e alleatosi nella legislatura con il Pd per garantire la governabilità. Al di là di ovvie considerazioni sulla consistenza dei diversi fenomeni, certamente pur nelle dimensioni ridotte quello che sta accadendo al partito sin qui guidato dal ministro Alfano – prima Ncd poi Ap – assume proprio i connotati di una diaspora, di una dispersione verso altri lidi politici dei suoi esponenti. Una dinamica che si è registrata anche nella fase iniziale di questa esperienza politica, con l’abbandono della casa madre berlusconiana e l’approdo non sempre tranquillo e condiviso nel centrosinistra e i governi succedutisi sin qui nel corso della legislatura. Un’evoluzione simile a quella dei dirigenti ex comunisti del Pd transitati verso sinistra e approdati almeno in apparenza nel nuovo rassemblement che sarà guidato dal presidente del Senato, Grasso. Nel primo caso la governabilità era il punto di riferimento, difficile comprendere invece quale sia quello della nuova area di sinistra da sempre attraversata non da diaspore ma da un insidioso e temibile succedaneo: il divisionismo.
::/fulltext::
::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::2363::/cck::