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La certezza… dell’incertezza!

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Il 4 marzo sta arrivando e a poco meno di 2 mesi dalle elezioni l’unica certezza del Paese è l’incertezza.

Nel grigiore sostanziale di una campagna elettorale non campagna, come usiamo dire, di fronte a monadi politiche che parlano ad un paese che non ascolta, o meglio soltanto a parte di esso volutamente invece di pensare all’interesse generale, un dato ulteriore appare chiaro: nessuno sa esattamente che cosa accadrà il 4 marzo e quale Parlamento uscirà dalle urne. Si dirà, il bello delle elezioni è questo, un pizzico di incertezza è necessario, la volontà del popolo nel momento in cui si esprime darà indicazioni alla politica per il governo del  paese nei prossimi anni! Certo, la caratteristica delle democrazie e delle elezioni è che si possano verificare cambi di fronte, di maggioranze, i destini delle forze politiche possono mutare nell’urna, il consenso va a chi riesce ad essere più credibile oppure si incanala in forme di protesta. Tutto vero ed inconfutabile.

Eppure, qualcosa non funziona. Il sistema elettorale secondo i suoi detrattori non favorirebbe l’emergere di una maggioranza a meno che il consenso per una formazione non sia talmente ampio da superare il 40 per cento dei voti. Uno sbarramento logico per alcuni, per altri un limite alla rappresentanza. Ma se si è scelto di ritornare alla prevalenza del proporzionale nel paese delle cento città e delle mille contrade, certamente è una soglia che cerca di ottenere un risultato di stabilità. Si dimentica poi che ogni sistema di voto, anche quelli  più collaudati, presenta un tasso di errore, una zona d’ombra, ma soprattutto non può dare risultato chiaro e stabile se il quadro di riferimento sociale del corpo elettorale non lo è e se non è in grado di compattarsi.

Vale a dire che se un paese è scollato, diviso, disorientato, difficilmente un sistema elettivo può correggere questo dato di fondo. Se la politica non riesce a coagulare il consenso in modo ampio, è inevitabile la parcellizzazione: Le convulsioni di questi anni, la concitazione delle ultime legislature fotografano proprio questo: l’incertezza del paese, il non saper intravedere un futuro fatto di alcune scelte irrinunciabili e necessarie, l’impossibilità di avere fiducia nelle ricette delle forze politiche che si presentano, spesso a rimorchio delle esigenze dei cittadini più che capaci di strategie e disegni organici!

Se potessimo chiedere ad ogni cittadino che cosa pensa della situazione, la risposta sarebbe desolata per non sapere esattamente a chi “votarsi” per così dire con uno strano rovesciamento concettuale. Salvo poi indicarci o scelte dirompenti “perché è ora di finirla con questo andazzo”, oppure più pacate “perché bisogna fermare i populismi e gli avventurismi”!

Quel che ci appare però chiara è una convergenza oggettiva tra l’incapacità della politica di ottenere consenso e la visione pessimista dei cittadini su quello che essa potrà proporre. I partiti, leader e apparati (per quel che ne resta) non riescono ad avere esattamente il polso dell’elettorato, ogni sfida è senza rete. E i sondaggi sembrano confermare questa difficoltà e un rischio molto alto di stallo post voto. Un paese diviso in tre con aree grosso modo equivalenti e che non potrebbero in base al sistema elettorale, aspirare ad una maggioranza chiara ed univoca. Di qui le affermazioni dei leader sul no ad alleanze, ma la consapevolezza che soltanto così sarà possibile immaginare un governo, senza andare nuovamente al voto.

In pratica, l’unica certezza è quella della totale incertezza!

Ed è una condizione che ognuna delle parti in causa affronta a suo modo. Per i cinquestelle da sempre restii ed allergici a coalizioni, il mantra è ce la faremo da soli e governeremo da soli (il leader politico parla come un predestinato), salvo poi ad avvertire la famosa vocina che avverte: e se non sarà così? Ecco allora che invece di pensare ad alleanze si parla di convergenze su provvedimenti con chi ci sta! Ossia, noi decidiamo, poi cerchiamo i voti in Parlamento di volta in volta. Per un movimento che vuole essere visto come palingenetico della politica non c’è male quanto a pratica di basso governo.  Se il buon giorno si vede dal mattino! Al netto dello sfacelo indecoroso delle amministrazioni locali, non un buon biglietto da visita.

Il Pd, con i centristi e i radicali, pur partendo da una posizione di governo, guarda al voto con la consapevolezza che la scissione e la nascita di Liberi ed eguali, vuol dire soprattutto perdita di consensi a fondo perduto! Per i fuoriusciti una prova del nove per l’esistenza politica, una sostanziale irrilevanza parlamentare, la tentazione di fare il paso doble con i cinquestelle che sarebbe la dimostrazione del perché hanno abbandonato il centrosinistra a trazione pd! E soprattutto per andare contro il partito di Renzi, prima che pensare ad ogni altra cosa, malgrado le alte dichiarazioni politiche dei suoi esponenti e la spocchia nel dare giudizi su tutti gli altri (visione peraltro comune a questa stagione politica fatta di forze politiche senza identità)!

Il centrodestra, apparentemente più forte nei sondaggi, immagina una vittoria senza incertezze, ma potrebbe scontare le troppe divisioni e zone d’ombra tra i suoi partners. E seppure i suoi leader parlano come possibili vincitori, essi sanno benissimo che la fotografia del paese il 5 marzo potrebbe restituire un’immagine confusa e deformata e la necessità di guardarsi attorno. E questo rischierebbe di far deflagrare l’unità di facciata più che di sostanza e programmi!

L’unica altra certezza, oltre all’incertezza, è che il disegno di ognuna delle aree suddette per affrontare i problemi del paese è antitetica alle altre. Ma i problemi del paese non trovano in nessuna di essere risposta esauriente. La domanda potrebbe essere allora: quando è che ci mettiamo ad affrontare veramente la realtà nazionale con le sue storture, i suoi nodi irrisolti come anche le sue potenzialità e risorse che neppure la crisi ha potuto eliminare? Non esistono bacchette magiche, visioni oniriche, vaffa ed altri arnesi. Solo interventi decisi, chiari e comprensibili! Ma forse è chiedere troppo!

di Roberto Mostarda

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