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Da dove nasce la cipria? Curiosità e ingredienti di un trucco millenario.
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Si dice che il termine “cipria” derivi da Cipro, l’isola che ha dato i natali ad Afrodite, la Dea dell’amore e della bellezza. In realtà alcuni sostengono che sia il Giappone ad aver iniziato a produrre questa “polvere magica” ottenuta dal riso. Sembra che inizialmente contenesse anche escrementi di topo che la rendevano tossica, ma la ricerca dell’ideale di bellezza, collegata al candore della pelle, spingeva comunque le donne a farne uso per rendere i loro volti chiari e luminosi. Più tardi, alla polvere di riso furono aggiunti gesso, farina e biacca (o bianco di piombo: pigmento inorganico costituito da carbonato basico di piombo).
Solo l’austerità del Medioevo, imposta dalla chiesa, ridusse molto l’uso di “questa vanità” che, in quel periodo, venne associata alle ‘donne di malaffare’.
L’epoca rinascimentale vide la “cura della persona” come fondamentale e la cipria tornò di moda negli ambienti di corte, non solo sui volti, ma anche sulle barbe e le parrucche dei nobili e degli aristocratici. Le donne a volte ne facevano un uso così esagerato che Molière si divertiva a beffeggiarle definendole “caricature di loro stesse”. La perfezione ed il candore del viso erano una regola imprescindibile per quei tempi e la cipria era usata soprattutto sui capelli, mentre di talco e biacca venivano cosparsi i volti che dovevano apparire lisci e molto pallidi.
Nel 1800 il makeup tornò ad essere usato solo da attori e prostitute, sebbene la polvere di riso continuò ad essere utilizzata su viso e decolleté, indipendentemente dal sesso e dall’età. Fu in quel periodo che la cipria fu ribattezzata “poudre”.
All’inizio del 1900 a Londra nacquero i primi ‘banchi di cosmetici’ e, per merito del Rapporto Murrel, fu diffusa la composizione della polvere di riso, elemento necessario per la commercializzazione del prodotto.
Oggi la cipria non ha più il compito di sbiancare l’incarnato, ma di fissare il fondotinta ed opacizzare la pelle per non avere effetti lucidi. Per questi motivi esistono sul mercato vari tipi di cipria adatti alle circostanze ed alla pelle dell’individuo: colorata (usata soprattutto per guance e zigomi); fluida (per i trucchi teatrali); luminosa (con madreperla sintetica per dare lucentezza al viso e al corpo); opacizzante (per un fissaggio leggero su base già esistente); trasparente (garantisce un effetto naturale di lunga durata e può essere usata più volte senza appesantire).
Anche il Parini ha voluto parlare della cipria nel suo poema “Il Giorno”(segmento del Mattino) con la favola in cui narra che “un velo di polvere bianca discese dal cielo per ingrigire i giovani e levigare i vecchi, affinché tutti fossero uguali”.
I tempi inesorabilmente cambiano, ma “incipriarsi il naso” rimane un rituale che si ripete da secoli senza perdere il suo fascino. L’odore della cipria ci riporta all’infanzia, al bacio della nonna, alla biancheria della mamma. Questo strumento di bellezza rimarrà sempre emblema di femminilità e di seduzione che accompagnerà ancora per molto tempo le generazioni future.
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::autore_::di Luisanna Tuti::/autore_:: ::cck::2441::/cck::