La parola

Memoria

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Il 27 gennaio si è celebra la Giornata della Memoria in ricordo alla tragedia della Shoah, mentre il 10 febbraio scorso si è ricordata un’altra tragica pagina della seconda guerra mondiale, quella delle foibe. 

 

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Il 27 gennaio si è celebrata la Giornata della Memoria che ricorda la tragedia della Shoah nella data in cui vennero aperti dagli alleati i cancelli del lager di Auschwitz. Il 10 febbraio scorso è stata ricordata un’altra tragica pagina della seconda guerra mondiale, quella delle foibe e dell’esodo forzato di 350 mila italiani dall’Istria e dalla Dalmazia sotto la spinta delle truppe comuniste jugoslave di Tito. Memoria e ricordo, due parole simili ma non coincidenti che ci fanno tuttavia confrontare con l’attitudine umana a serbare memoria, appunto, di quanto è accaduto e a ricordare quanto si è vissuto. Due parole complesse, con molteplici significati entrambe che accompagnano la storia dell’uomo, che costruiscono in certo senso la storia umana  e che, paradossalmente, sono fortemente connaturate anche alla società di oggi, fatta di “memorie” di computer, apparati, sistemi e di miliardi byte che ricordano i dati immessi e ne conservano la traccia.

Analizziamo allora il termine scelto. In generale, memoria indica la capacità, comune a molti organismi, di conservare traccia più o meno completa e duratura degli stimoli esterni sperimentati e delle relative risposte. In particolare, con riferimento all’uomo (nel quale tale funzione raggiunge la più elevata organizzazione), il termine indica sia la capacità di ritenere traccia di informazioni relative a eventi, immagini, sensazioni, idee, e via dicendo, di cui si sia avuto esperienza e di rievocarle quando lo stimolo originario sia cessato riconoscendole come stati di coscienza trascorsi, sia i contenuti stessi dell’esperienza in quanto sono rievocati, sia l’insieme dei meccanismi psicologici e neurofisiologici che permettono di registrare e successivamente di richiamare informazioni.

Più specificamente, da un punto di vista psicologico, sono state individuate tre modalità mnesiche principali, distinte ma non separate, delle percezioni o esperienze avute: sensoriale, a breve termine  (o primaria), che ritiene le informazioni per alcuni minuti; a lungo termine (o secondaria), che conserva e permette di richiamare i ricordi anche dopo anni. La neurofisiologia spiega il processo di formazione della traccia mnesica con modificazioni funzionali e dinamiche delle cellule nervose inserite in speciali circuiti, e, riguardo agli aspetti persistenti della memoria, con modificazioni chimiche a carico delle stesse cellule. Secondo la natura particolare degli stati di coscienza, dell’oggetto che viene rievocato e dei meccanismi che agiscono, si distingue in selettiva, intellettiva, affettiva, episodica, associativa e così via.  

Con senso meno astratto, ci si riferisce al fatto di ricordare, come all’atto e al modo con cui la mente ritiene o rievoca non in generale, ma singole e determinate immagini, nozioni, persone, avvenimenti. Nel diritto processuale, si parla di futura memoria come procedimento d’istruzione preventiva al quale può ricorrere chi abbia fondato motivo (determinato dalle più varie ragioni, quali stato di malattia, età, partenza, ecc.) di ritenere che possano mancare uno o più testimoni le cui deposizioni sono necessarie in un processo.

Ancora  si indicano le tracce che persone o fatti lasciano nella mente degli uomini. In particolare, il ricordo, la reputazione, il concetto che una persona lascia di sé, la sua presenza nello spirito dei sopravvissuti o dei posteri.

Qualcuno ha sottolineato, con grande saggezza, “chi non ricorda il passato, è condannato a riviverlo”. Un concetto chiaro e tutto sommato semplice che tuttavia non sembra essere compreso dalla maggioranza dell’umanità, impegnata più che altro a seguire, in ogni angolo del globo, revanscimi di ogni natura, recuperi di parti della storia che paradossalmente sarebbe meglio dimenticare e non rendere obiettivi da perseguire. Inneggiare come si fa in cortei e manifestazioni ancora oggi nel nostro paese (come anche in altre nazioni europee) al nazifascismo o immaginare rivoluzioni comuniste condannate dalla storia e da atrocità simili, o immaginare di gettare nelle foibe carsiche qualcuno, appaiono segnali di profondo degrado e soprattutto di banalizzazione del male, quel processo semplicistico di razionalizzare l’irrazionale  che venne descritto nell’omonimo libro di Hannah Arendt testimone e sopravvissuta all’Olocausto.

Sembra poi che l’utilizzo di computer, smartphone, cloud, stia generando una complessiva incapacità di ritorno di ricordare, creandoci l’illusione che qualcuno o qualcosa lo farà per noi. Una tendenza rischiosa che induce deresponsabilizzazione, distacco da quello che ci circonda e che accade intorno a noi, elementi che al contrario sono e devono essere parte integrante della nostra crescita personale e culturale. E che genera anche un altro rischio forse più pericoloso: quello della relativizzazione di ogni cosa, di ogni ricordo, di ogni avvenimento del passato e spesso della loro ricostruzione falsata, capovolta, non vera e ad uso del momento.

Memoria e ricordo, invece sono parte integrante di quello che siamo, ci raccontano come l’umanità ha percorso millenni e secoli, ci insegnano a distinguere, a capire, a comprendere gli avvenimenti di oggi. Ci fanno conoscere tra popoli diversi, culture lontane e vicine. Utilizzarle invece per tramandare odio, rivalità, e ogni sentire negativo connesso, rappresenta l’eterno rischio dell’umanità di ripetere i propri errori!

 

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::2473::/cck::

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