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“La congiura del silenzio” dal Giorno del Ricordo del 10 febbraio 2007 così definita dall’allora Presidente Giorgio Napolitano a quella del 2018.
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“Sono cittadino croato di nazionalità italiana” rispose così il mio interlocutore quando gli chiesi “Mi scusi, ma come mai lei parla così bene la lingua italiana?”
Era il mio primo incarico a Zagabria nel 2003, temevo di fare una brutta figura, così cambiai argomento. Decisi, però, di comprendere il significato di quella frase e cominciai da lontano.
Nella piazza principale di Zagabria la statua dedicata al “bano [governatore] Jelačić” ricorda la lotta per l’indipendenza dall’Ungheria del regno unito di Croazia, Slavonia e Dalmazia, raggiunta in un’epoca che va dal 1848 al 1854, al termine della quale la rivoluzione ungherese fu sedata.
Tra i motivi che avevano condotto all’insurrezione ungherese non era secondaria la pretesa di imporre la lingua ungherese nelle scuole del proclamato regno unito di Croazia, Slavonia e Dalmazia, in sostituzione di quella croata, simbolo della sottomissione di un popolo ad un altro popolo. Cosa ci può essere di peggio nel sottomettere un popolo privandolo della sua identità, rappresentata certamente anche dalla sua lingua?
Torniamo all’inizio del secolo attuale e ad altre esperienze, da me avute con la comunità croata di lingua italiana. Ad una domanda a proposito del riconoscimento giuridico della proprietà di beni immobili localizzati in Istria, un altro interlocutore mi disse: “pensi che mia madre, nel corso della sua vita, senza spostarsi di un millimetro da casa sua, ha cambiato ben tre volte cittadinanza, ma la sua nazionalità (e la sua lingua – nda) è rimasta quella italiana”.
Venendo ai giorni nostri abbiamo deciso di utilizzare per il titolo di questo articolo le parole “La congiura del silenzio” prendendole in prestito da una frase pronunciata nel suo discorso per la commemorazione del Giorno del Ricordo del 10 febbraio 2007 da parte dell’allora Presidente Giorgio Napolitano: lo sterminio, che in chiave locale si realizzò dall’autunno del 1943 alla primavera del 1945 quando nelle voragini (foibe) dell’entroterra istriano vennero fatti sparire i corpi delle vittime di esecuzioni sommarie a larga scala.
La scelta del titolo di questo articolo si è imposta perché ciascuna parte, a ragione o a torto, nell’interpretazione dei fatti accaduti, rischia di negare verità storiche a vantaggio di possibili strumentalizzazioni, come abbiamo potuto verificare ancora una volta nelle penose vicende accadute sabato scorso e raccontateci dal Piccolo di Trieste nell’articolo Cori inneggiano alle foibe: Macerata diventa un caso.
«Lo Stato ha il dovere morale di reagire contro il germe negazionista che germoglia a sinistra, dove si vuole infoibare il ricordo», sostiene il “padre” della legge che ricorda le foibe, Roberto Menia. «I cori choc – prosegue – ascoltati a Macerata sono il frutto del negazionismo che monta a sinistra e che lo Stato italiano ha il preciso dovere di stanare e combattere.»
Il presidente Mattarella, nella dichiarazione rilasciata in commemorazione della giornata del ricordo del 10 febbraio scorso, conclude: “Le stragi, le violenze, le sofferenze patite dagli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati non possono essere dimenticate, sminuite o rimosse. Esse fanno parte, a pieno titolo, della storia nazionale e ne rappresentano un capitolo incancellabile, che ci ammonisce sui gravissimi rischi del nazionalismo estremo, dell’odio etnico, della violenza ideologica eretta a sistema”.
Ma forse ancora non basta. “La possibilità di una rilettura critica del fenomeno delle foibe è stata … frequentemente compromessa da un accavallarsi di motivazioni che con la storia ben poco avevano a che fare” (Raoul Pupo e Roberto Spazzali, Foibe, editore Bruno Mondadori) pagina 1. Per saperne di più consigliamo la lettura, tra gli altri, anche de “Il lungo esodo” di Raoul Pupo, Rizzoli editore e “dossier FOIBE” di Giacomo Scotti.
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::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::2475::/cck::