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Lo scenario politico post-elettorale

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Resta per tutti noi italiani, la scommessa di veder nascere una qualche maggioranza
in grado di gestire il paese o di accompagnarlo verso nuove elezioni.

Il Paese ha parlato, i cittadini italiani si sono espressi con grande chiarezza, pur nella sostanziale complessità dei dati elettorali. I cinquestelle dati per vincenti sono il primo partito italiano ma non hanno una maggioranza. Il centrodestra ha una sostanziale maggioranza ma è diviso in tre quattro pezzi non tutti coerenti. La sinistra “grazie” alla scissione dei reduci ex comunisti e al solipsismo renziano non ha più una maggioranza ed è opposizione in qualsiasi ipotesi futura. Questa la fotografia del paese dopo il voto di domenica, un’immagine prevedibile e prevista che è oggi realtà: un paese ad alto tasso di confusione e senza una direzione chiara. Insomma un vero rebus, una sciarada incomprensibile.

Nei prossimi giorni, nelle prossime settimane avremo la misura di quanto accaduto nelle urne e potremmo decrittare l’impegno di tutti i partiti e dei loro leader nella direzione della governabilità. In gioco non c’è la carriera o l’ambizione di questo o di quello aspirante o stagionato esponente della politica, ma la direzione chiara ed inequivocabile da dare al paese fermo da decenni su elementi fondamentali, inceppato in nodi tanto chiari quanto inestricabili e sovente lasciati lì ad aggravarsi per seguire contrapposizioni illogiche e storicamente superate senza intelligenza degli avvenimenti che sono sempre lì nella loro disarmante semplicità a chiedere risposte!

Ora la parola passa al Presidente della Repubblica Mattarella che dovrà mettere alla prova le capacità di governo delle forze politiche vincenti e perdenti, il senso dello Stato del nuovo Parlamento e poi trarne le dovute conseguenze! Primo banco di prova le presidenze della Camere. Un compito certamente non semplice per il Quirinale in uno scenario assolutamente discontinuo rispetto al passato, anche recente! E sarà la prima vera prova per partiti e movimenti rivoluzionati dal voto, modificati quasi geneticamente dalle urne, ma ancora non in grado di rappresentare esattamente il senso di queste elezioni, le prime da decenni a porre cittadini e politici dinanzi al cosa fare e perché! Non vi è infatti dubbio che la fotografia che viene dalle urne, anche prescindendo dai numeri e dalla consistenza delle pattuglie parlamentari, parla una lingua complessa e non conosciuta se analizzata con le classiche interpretazioni valide sino a domenica scorsa.

Forse l’unico dato comprensibile è che questa volta gli italiani, pur senza riuscire a indicare una strada, hanno posto la politica davanti alla propria inconcludenza. E, pur nella confusa e irrazionale legge elettorale, non hanno mancato di chiarire che cosa non va!

La vittoria dei grillini, indubitabile nei dati soprattutto al sud, parla ad una pancia del paese che vuole certamente risposte alle emergenze, ma lungi dall’immaginare quali. Non confonda la chiarezza del dato, solo apparente. Gli italiani del centrosud hanno preso per buona la questione del reddito di cittadinanza alla ricerca spasmodica di quello che manca, il lavoro, la serenità economica, e hanno fatto finta di non vedere errori e disonestà che hanno intaccato anche Di Maio e compagni. Solo che non è dato sapere con quali risorse e prese da dove una simile promessa può realizzarsi in un paese devastato dalla disoccupazione, dalla sotto occupazione dove nessun investimento sembra in grado di produrre lavoro.

Formule magiche non sono emerse dai leader del movimento se si esclude il concetto della “decrescita felice” lanciato a suo tempo da Grillo, ma che dovrebbe partire da un paese stabile, maturo, economicamente coerente ed equilibrato. Cosa che l’Italia di oggi non è! Ed è soprattutto una ricetta vacua e che non parla di sviluppo e crescita, ma di lento declino. Unita al suddetto reddito immaginato, una soluzione di stampo assistenzialista e statalista, quasi di impronta sovietica, verrebbe da dire. Non aumentare cioè la ricchezza e distribuire l’esistente.

Per gli altri vincitori delle urne, i partiti di centrodestra, la strada è solo in apparenza più chiara. Evidente che l’impronta leghista data da Salvini che parla di un rapporto diverso con l’Europa, di autonomia regionale, di distribuzione della ricchezza, di diritti dei cittadini, ha fatto presa dopo anni di promesse mancate e di mancate realizzazioni, questo in particolare al nord ma non solo per la sostanziale omogeneità della crescita elettorale del Carroccio, ma altrettanto evidente è che quanto di liberista rappresentato da Forza Italia e dalle parole d’ordine dell’ex cavaliere, come la flat tax o la discesa delle tasse per fare un esempio, appaiono due ricette non propriamente in grado di convivere facilmente, per quel singolare ma chiaro marchio “statalista” che contraddistingue l’azione leghista e che trova anche supporto nella componente di destra della Meloni. Un dato balza però all’occhio, l’Italia di centrodestra copre la quasi totalità della parte più forte economicamente della nazione. In un certo senso la tendenziale bipolarità uscita dal voto disegna un paese diviso in due con una chiarezza mai vista in altre stagioni.

Per i veri sconfitti, il Pd e la sinistra, si tratta di ripartire per così dire dal deserto. Nessun elemento emerso dalle urne può essere consolatorio. Non c’è sorte personale che possa equilibrare la durezza del voto. Per questa area si tratta di ritrovare o costruire una nuova visione da proporre al paese. Non può essere più quella di garanzia e di gradualità e neppure quella di rottamazione e novità.

Come già in altri paesi d’Europa la sinistra moderata o meno non intercetta più idee, desideri, necessità delle classi popolari alla cui rappresentanza sembrava destinata in modo ontologico e irrevocabile. Un distacco accentuato dalle alchimie che in questi anni hanno cercato di far convivere due o più visioni contrastanti di società! Non funzionano neppure più le parole d’ordine identitarie come quelle antifasciste o simili. E questo perché malgrado populismi di ogni genere serpeggino per il continente, non esiste nella sostanza una minaccia autoritaria, soprattutto nel sentire della gente. Ed è proprio non aver avvertito questo mutamento una delle radici della sconfitta.

Sconfitta che è certamente di Renzi, ma che sarebbe ingeneroso e non corretto addossare soltanto a lui. L’ex premier si dimetterà presto e il Pd affronterà le sue contraddizioni che sono quelle che hanno portato alla scissione e al frazionismo interno, ma anche qui non esiste una risposta immediata. Il renzismo ha esaurito la sua spinta, ma non c’è all’orizzonte qualcosa di simile e diverso che lo possa rimpiazzare (come dimostrano le sconfitte nei feudi dell’opposizione interna). Accanto a questo, la irrilevanza di Liberi ed uguali, non fa ben sperare. Anche se quest’ultima formazione è stata vista dagli elettori per quello che è: una ridotta altezzosa e non rappresentativa neppure in parte di quello che una volta era il grande campo progressista. Altezzosa e rancorosa. Due elementi non certo in grado di favorire crescite di consenso.

Resta per tutti noi italiani, la scommessa di veder nascere una qualche maggioranza in grado di gestire il paese o di accompagnarlo verso nuove elezioni. Ma prima ancora cercare di delineare quale paese vogliamo realmente. Solo così potremo poi tentare di attribuirne a qualcuno la dovuta e ampia rappresentanza. Senza dimenticare che siamo pur sempre il terzo paese d’Europa per importanza e il sesto nel mondo! E questo ci chiama tutti, cittadini e politici, ad assumere le responsabilità del nostro destino! Dal 4 marzo infatti, dopo lunga e infruttuosa dilazione potremmo dire, la ricreazione è finita!

di Roberto Mostarda

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