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Le proposte che il numero uno di Apple, Tim Cook, ha avanzato al Forum di Pechino il 24 marzo scorso su una maggiore regolamentazione che eviti un uso distorto dei Big Data
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Anche se attenti alle notizie sul tipo di democrazia che gli italiani hanno scelto con le ultime elezioni, non vogliamo perderci le proposte che il numero uno di Apple, Tim Cook, ha avanzato al Forum di Pechino il 24 marzo scorso su una maggiore regolamentazione che eviti un uso distorto dei Big Data.
Se ci preoccupiamo di acquistare uno smartphone passi, ma se si tratta di influenzare il voto l’idea comincia a infastidire.
L’allarme deriva, tra gli altri, dall’hashtag #DeleteFacebook subito riscontrato da Elon Musk che ha cancellato gli account Tesla e SpaceX.
Lo scandalo che sta travolgendo Facebook riguarda l’abuso dei dati di milioni di utenti che coinvolge la società di consulenza Cambridge Analytica che ha spinto la Federal Trade Commission ad aprire un’indagine sul caso, togliendo dal torpore anche la Gran Bretagna e l’Unione Europea.
Per comprendere meglio il “fenomeno” di cui stiamo parlando chiediamo aiuto ad “Internazionale” che il 6 gennaio del 2017, che non è proprio ieri, pubblicava la traduzione in italiano di una inchiesta della svizzera “Das Magazin”, autori Hannes Grassegger e Mikael Grogerus, dal titolo “La politica ai tempi di Facebook” e cominciamo proprio da Michal Kosinski, uno dei massimi esperti di psicometria, branca della psicologia che si fonda sull’analisi dei dati.
“Il 9 novembre 2016 un’azienda britannica poco nota, con sede a Londra, ha diffuso un comunicato stampa: «Prendiamo atto con grande soddisfazione del fatto che il nostro rivoluzionario approccio alle comunicazioni basate sui dati ha svolto un ruolo centrale nella straordinaria vittoria del presidente eletto Trump». Il comunicato attribuiva queste dichiarazioni a un certo Alexander James Ashburner Nix, britannico, 41 anni, amministratore delegato della Cambridge Analytica.”
Facciamo un ulteriore passo indietro, anzi molti passi indietro fino a quando un gruppo di psicologi negli anni ottanta teorizzò la possibilità di misurare la personalità attraverso i “Big Five”: apertura mentale, coscienziosità, estroversione, amicalità, stabilità emotiva.
Ben presto, però, apparve evidente il rischio che un uso improprio dei dati raccolti potesse costituire una “minaccia” per il benessere della vita delle persone.
E questo è già accaduto, anche se non possiamo conoscere la reale entità e diffusione della minaccia. L’ex manager di Facebook Sandy Parakilas ha raccontato al Guardian che i dati di centinaia di milioni di utenti di Facebook sono stati violati da decine di aziende.
Secondo altri il numero di persone che avrebbero qualcosa da ridire sull’uso maldestro dei propri dati personali sarebbe ben di più, ma ancora non è dato sapere se e quanto siano vittime, quali norme possano essere state violate, quale autorità possa essere competente, se esiste, a giudicare nel merito.
Non si tratta certamente di un fenomeno trascendentale. Siamo di fronte, invece, ad interessi precisi e concreti: lo dimostrano le quotazioni in borsa dei titoli che stanno precipitando giorno dopo giorno e ciascuno di noi è capace di percepire almeno che esistono interessi contrapposti, quelli dei titolari di un profilo Facebook e quelli di coloro che, manipolando le informazioni contenute nei profili Facebook, ne utilizzano i dati per attività non autorizzate dai titolari dei profili.
Per completare il quadro delle debolezze dei singoli stati alle prese con la tutela delle popolazioni saccheggiate dall’uso non autorizzato dei profili di Facebook, è necessario accennare anche al conflitto di interessi esistente sulla tassazione dei ricavi da applicare a società che producono redditi sul proprio territorio nazionale. Nel frattempo il soggetto, i cui dati servono per l’arricchimento di imprese create per scomparire subito dopo l’uso sembra assimilabile alla “carne da cannone”.
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::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::2546::/cck::