Cultura

Iraq: The Road to Arbaeen

• Bookmarks: 4


::cck::2581::/cck::
::introtext::

Immagine estratta dalla mostra in corso alla Galleria Centofiorini, foto di Emily Garthwaite, tutti i diritti riservati

Fino al 12 maggio alla Galleria Centofiorini di Civitanova Marche saranno esposte le foto di Emily Garthwaite all’interno della mostra Iraq: The Road to Arbaeen.

::/introtext::
::fulltext::

Nelle bellissime foto di Emily Garthwaite ammirate volti e movimenti, colori e relazioni, simboli e abitudini di individui durante un pellegrinaggio (pilgrimage) in Iraq. Nelle nostre lingue si tratta propriamente di pellegrini (pilgrim), dunque “stranieri”, per definizione. Il termine viene dal latino, “peregrinus”, qualcuno che sta per i campi (per ager), fuori dalle residenze collettive (villaggio o città). Pellegrino, ovvero sconosciuto, (the) stranger, l’étranger, lo straniero.

Nel caso del pellegrinaggio diventano temporaneamente stranieri perché si mettono in viaggio, si allontanano dai luoghi di residenza, interrompono il tessuto continuo (più o meno ordinario) della propria vita (spazi, legami, lavori, interessi) per avvicinarsi a qualcosa di sacro. Il pellegrinaggio si fa per devozione o ricerca spirituale o penitenza, comunque per testimoniare una dimensione religiosa, la propria fede. Il pellegrinaggio sottolinea i nessi inscindibili fra un luogo (geografia) e una data (storia), fra un’azione fisica di spostamento e un’attività spirituale di fede, perpetuandoli nel tempo con il movimento collettivo di tanti. È una pratica millenaria, in tempi recenti lo si è fatto sempre più anche per valori morali non ascrivibili a un’unica religione, interreligiosi o laici, come la pace.

Accostiamoci con rispetto e circospezione al pellegrinaggio Al Arba’een, il rito nasce in Islam, si pratica da millenni come momento di fede dei musulmani sciiti, si svolge nello Stato ora dell’Irak, inevitabilmente all’interno di complesse conflittuali dinamiche geopolitiche. Guardiamo con attenzione le foto, studiamo significati e nessi, evitiamo commenti frettolosi e facili comparazioni. Al Arba’een significa “quaranta”, il pellegrinaggio si celebra ogni anno il ventesimo giorno del secondo mese (safar) del calendario islamico.

L’intenzione è commemorare il quarantesimo giorno successivo al giorno di Ashura (61 anni lunari dopo l’Egira di Maometto, per noi il 680 d.C.), quando morirono in battaglia l’Imam Hussain, nipote del profeta Maometto e terzo Imam degli sciiti, e i suoi 72 fedelissimi compagni. I suoi parenti rimasero 40 giorni prigionieri a Damasco.Fin dall’anno successivo, l’anno 62 dell’Egira (681 d.C.), Jabir ibn Abd – Allah Ansari, un seguace fedele del Profeta Muhammad partecipò al primo pellegrinaggio alla tomba di Hussain a Karbala, che è appunto la terza città santa dell’islam sciita, dopo la Mecca e Medina.

Da allora fino a oggi, nei giorni prima e dopo il quarantesimo (ovvero Al Arba’een), cerimonie commemorative si svolgono in tutta la realtà islamica sciita, il pellegrinaggio è sempre restata quella più importante e partecipata, uno dei più grandi raduni religiosi del mondo. Durante gli ultimi quattordici secoli, musulmani sciiti provenienti da ogni dove, vestiti di nero, hanno continuato a radunarsi annualmente tra il fiume Eufrate e le distese desertiche, nella città di Karbala (oggi 700.000 abitanti), circa 100 chilometri a sud-ovest di Bagdad (che sta sul Tigri), affluendo al mausoleo posto sotto la cupola dorata dell’Imam.

Milioni e milioni di persone. Alcune si mettono in cammino da molto lontano, “pellegrinano” per giorni verso il santuario, a esempio da città come Bassora, che si trova a circa 500 chilometri di distanza, ben oltre dieci giorni a piedi. Valutiamo bene: è una migrazione libera e transitoria che coinvolge le comunità dove si transita, non solo i punti di partenza e arrivo. Gli stranieri trovano aiuti e servizi lungo la strada: catene di volontari gestiscono centri di assistenza, organizzano gratuitamente ospedali da campo, aprono tende per offrire cibo e bevande, sventolano lungo il percorso le stesse bandiere (in prevalenza nere e verdi, i loro colori).

Un attento servizio d’ordine assicura sicurezza, operazione cruciale sotto la minaccia di attacchi terroristici. Una parte delle principali autostrade irachene viene riservato alla marcia, lasciando solo una corsia per veicoli autorizzati. Negli ultimi anni sono arrivati alla meta circa venti milioni di sciiti, quasi il 25 per cento non iracheni ovvero appartenenti a circa quaranta differenti paesi e doppiamente “stranieri” (fra 2 e 4 milioni iraniani).

Il pellegrinaggio attiene alla libertà di movimento e di migrazione. Il rito è colmo di momenti e significati, personali e collettivi, culturali e religiosi. Ovviamente, è evoluto nel tempo. Per comprenderlo bisogna fare mente globale e locale alla fede musulmana di riferimento, sia all’Islam sciita che pure all’Islam sunnita (che non fa il pellegrinaggio); alle dinamiche antiche e conflittuali di popoli, confini, Stati; al quadro internazionale contemporaneo con la guerra in Siria; al pericolo terroristico del nuovo Califfato; all’accordo sul nucleare con l’Iran; ai processi economici e sociali in corso in Iraq.

Un punto è cruciale: l’atto fondante per i musulmani è una migrazione, l’egira del profeta dalla natia  Mecca alla città-oasi di Yathrib (poi Medina), quando inizia anche il calendario islamico (622 d.C.). Non a caso il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita è considerato obbligatorio dai musulmani, per chi ne abbia possibilità fisiche ed economiche. L’Egira (in arabo “emigrazione”) indica proprio una migrazione forzata, il pericoloso osteggiato trasferimento dei primi devoti musulmani e del loro capo Maometto dalla Mecca a Medina, con la conseguente rottura dei vincoli tribali, fatto particolarmente grave che metteva in pericolo nella penisola araba tutti coloro costretti ad abbandonare il proprio gruppo. Ebbene, il diritto di restare (nella comunità ove si è nati e si cresce) e la libertà di migrare (ove si vuole, nel rispetto di chi si trova già là) sono appunto sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che riguarda ogni nazione, lingua, religione, convinzione, identità umana sul pianeta.

Le foto ci raccontano molto di come viene vissuta oggi una storia che si perde nella notte dei tempi in un contesto geografico completamente cambiato. Ne percepiamo umori, odori, suoni, passioni, emozioni, per come li sentono milioni di nostri simili, magari negli stessi giorni in cui noi facciamo tutt’altro e abbiamo tutt’altre priorità in Europa, in Italia, nelle Marche. In qualche caso assomigliano ai pellegrinaggi e alle manifestazioni che siamo abituati a conoscere o frequentare; quel che è bene ricordare sono i 15-20 milioni di donne, uomini, bambini che ogni volta lì partecipano.

Diverso è il contesto di biodiversità animale e vegetale; per quanto tutto sia filtrato dalla presenza umana, dall’antropologia. Volti e vestiti degli individui, delle famiglie e dei gruppi trasudano intense passioni collettive, relazioni comunitarie profonde, una dignitosa fierezza anche nella fatica. Camminano, cavalcano, cucinano, riposano, sventolano, assistono. Insieme. Fino alla meta, fino al santuario. Le foto sono state selezionate con cura, sia il numero che i contenuti sono congrui per mostrarci un evento annuale straordinario (poco conosciuto nel Vecchio Continente), per trasmetterci emozioni e curiosità, per sollecitare attenzione e approfondimenti.

La mostra delle foto di Emily Garthwaite sul pellegrinaggio Al Arba’een si svolge a Civitanova Marche poche settimane prima delle elezioni parlamentari irachene, previste il 12 maggio di questo 2018. Occorre tener presente che il pellegrinaggio è un rito sciita e tutti i paesi di quell’area (musulmana) hanno una storia plurisecolare di complicata contrapposizione, talora violenta fra estremisti musulmani sciiti ed estremisti musulmani sunniti. Anche quanto è accaduto in Iraq (oltre 37 milioni di abitanti, 435mila chilometri quadrati) negli ultimi decenni è in parte conseguenza del permanente dualismo.

Saddam Hussein era legatissimo ai potentati arabi musulmani sunniti (e tentò più volte di interdire il pellegrinaggio), il cosiddetto stato islamico Is è espressione anche dell’estremismo sunnita (e lancia da 15 anni frequenti concrete minacce di attentati contro il pellegrinaggio). Eppure, è anche attraverso il pellegrinare di “stranieri”, il fluire pacifico di uomini e donne rispettosi della propria (e di ogni altra) fede che la convivenza in Iraq potrà cessare di essere sinonimo di terrore e distruzione, che può ritrovarsi un rinnovato senso di appartenenza nazionale slegato dalla fede (sunnita, sciita, cristiana), che si consoliderà il cosiddetto “quarto rinascimento” di Bagdad, ovvero la ripresa (in corso) della fertilità culturale e sociale fra il Tigri e l’Eufrate (quell’ecosistema di millenni fa, la Mesopotamia, all’origine delle civiltà agricole di mezzo mondo).

::/fulltext::
::autore_::di Valerio Calzolaio::/autore_:: ::cck::2581::/cck::

4 recommended
comments icon0 comments
bookmark icon

Write a comment...