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La salva di missili lanciata dalla Coalizione americano-franco-britannica nella notte tra venerdì e sabato scorso contro alcune infrastrutture militari siriane, ha voluto essere più un atto dimostrativo che un vero attacco al regime di Damasco
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La salva di missili lanciata dalla Coalizione americano-franco-britannica nella notte tra venerdì e sabato scorso contro alcune infrastrutture militari siriane, ha voluto essere più un atto dimostrativo rivolto a Mosca e Teheran che un vero attacco al regime di Damasco.
I siti colpiti infatti rappresentano ben poca cosa rispetto al reale potere militare di Assad e dei suoi alleati nella guerra civile che dal 2011 si combatte in Siria. Peraltro, poche ore prima del blitz, Mosca è stata avvertita di quello che sarebbe successo sui cieli del Mediterraneo Orientale. Una sorta di minimo sindacale dopo le roboanti dichiarazioni fatte dal Presidente americano Trump sul presunto uso di armi chimiche da parte del regime contro i ribelli che ancora controllano parte della Ghuta, la verdeggiante regione che si estende ad est di Damasco.
I missili lanciati dalla Coalizione hanno rappresentato il segnale che l’Occidente è tornato a far sentire la propria voce nella partita siriana, dopo gli anni d’inattivismo dell’amministrazione Obama che hanno consentito a Mosca di ritagliarsi un ruolo da protagonista in Medio Oriente ed a Teheran di alimentare le proprie mire egemoniche a supporto della grande famiglia sciita che si estende dall’Iran al Libano.
In attesa delle conseguenze paventate dal Cremlino, dopo il bombardamento dello scorso weekend, è l’Iran, secondo Washington, il vero obiettivo dell’attacco. Negli ultimi anni infatti il regime degli Ayatollah ha fatto della Siria una sorta di base avanzata per foraggiare le milizie degli Hezbollah libanesi nell’ottica di uno scontro con Israele, come dimostra il lancio del drone di ultima generazione sui cieli della Galilea, poi abbattuto dalla contraerea di Tel Aviv.
L’amministrazione Trump ha dunque voluto ribadire il concetto di linea rossa nei confronti dei grandi supporter di Damasco: Israele è più che mai il principale alleato degli Stati Uniti nella regione e chi prova a metterne in dubbio non solo l’esistenza ma anche la sua sicurezza dovrà vedersela con la prima potenza mondiale.
Più sfumate invece le ragioni che hanno portato la Francia ad aderire alla Coalizione Occidentale con l’utilizzo di tre fregate ed uno stormo di caccia Rafale e Mirage. L’attivismo francese è sicuramente figlio della vecchia logica coloniale dell’accordo Sykes-Picot del 1916, che aveva consentito a Francia e Gran Bretagna di definire le rispettive sfere d’influenza in Medio Oriente dopo la caduta dell’Impero Ottomano e che aveva fatto della Siria il principale avamposto transalpino nella regione. Il Presidente Macron ha voluto ribadire l’imprescindibile importanza di Parigi nei futuri assetti che si stanno delineando nell’area, strizzando al contempo l’occhio alla comunità cristiano-libanese da sempre legata a doppio filo alla Francia. La decisione dell’Eliseo è anche figlia della latitanza dell’Unione Europea per il conflitto siriano. Italia e Germania, decidendo di non partecipare al blitz, hanno pensato più ai propri affari interni: i tedeschi per la paura di una possibile nuova ondata di profughi mentre il nostro paese, a causa dello stallo politico, che ci consegna, per l’ennesima volta, all’irrilevanza internazionale, ha perso l’occasione di ritornare protagonista, nonostante la posizione strategica che nei secoli ha decretato le fortune dell’Italia nel Mediterraneo.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::2585::/cck::