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Bullismo, il sonno della ragione genera mostri

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La mela non cade mai troppo lontano dall’albero. Se non è la famiglia in primis a correggere, chi dovrebbe farlo? Serve più severità nei confronti degli autori e dei genitori complici.

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“Ai miei tempi”, questa era una frase che da bambino sentivo ripetere sempre dai miei nonni o dai miei genitori e pensavo a quanto fosse “preistorica” questa frase, che mai mi sarei ritrovato anche io a dirla.

Quando andavo a scuola io, e mi riferisco agli anni 90, gli episodi di violenza o di bullismo erano pressoché inesistenti. Certo, ogni tanto succedeva che qualcuno arrivava alle mani, ma erano azzuffate da ragazzini che finivano sempre dopo poco e senza la violenza a cui oggigiorno sembriamo aver fatto l’abitudine.

Oggi sembra che questo fenomeno sociale sia una costante, un momento per affermare la propria forza o superiorità, tanto più che questi ragazzini ci tengono nel filmarsi mentre picchiano o offendono il compagno preso di mira, tra le risate e la complicità di tutti gli altri che non intervengono anzi, assistono come degli spettatori davanti a un film d’azione, o a un incontro di pugilato, senza mai intervenire.

Questo fenomeno oltretutto sembra essersi evoluto recentemente, colpendo anche i professori. Tra i molteplici casi, il più recente, quello di Lucca in cui uno studente, risentito per aver preso un brutto voto, minaccia il professore intimandogli di mettergli un sei, e di inginocchiarsi davanti a lui, come se fosse chissà chi.

Ovviamente immancabile il video fatto dagli amici, per condividere questo incredibile momento di gloria. Ma ci sono anche altri casi passati in cui gli stessi genitori si rendono complici dei propri figli, per vendicarsi col professore per un votaccio o per avergli dato uno schiaffo, o addirittura che li aiutano nel vendicarsi contro il compagno o compagna (perché è bene ricordare che non ha sesso il bullismo) di classe con cui ha litigato.

Mi viene in mente un episodio avvenuto in Sicilia, in cui una madre si è recata a scuola, in pigiama, per picchiare un professore a cui ha rotto una costola.

Nel sentire di episodi simili mi viene in mente questo “Ai miei tempi”.

Ai miei tempi per quanto si poteva essere indisciplinati o maleducati, mai ci saremmo permessi di insultare, minacciare o alzare le mani a un professore, lo si rispettava in quanto tale e in quanto adulto.

Alcuni professori potevamo magari concedere più libertà agli alunni, quindi ci si poteva confrontare o scherzare, ma sempre con quel rispetto a cui eravamo abituati, tanto più che in caso di brutti voti, note o qualsiasi altro provvedimento scolastico causato dal nostro comportamento, non avremmo mai trovato il supporto dei nostri genitori, anzi, a casa ottenevamo il “resto” che di solito erano sculacciate, punizioni interminabili, rimproveri costanti, “stasera lo dico a papà e vedi”.

Le sculacciate erano quasi preventive e le mamme, tra battipanni e cucchiai di legno potevano scegliere quale strumento usare per darcele (che poi li usavano solo come minaccia e funzionavano).

Mi chiedo cosa sia cambiato, ma soprattutto dove andremo a finire perche se è vero che i giovani sono il nostro futuro, non credo che sarà poi così brillante. (Ovviamente non bisogna fare di tutta l’erba un fascio).

La mela non cade mai troppo lontano dall’albero quindi penso che se non è la famiglia in primis a correggere, o a insegnare ai propri figli come comportarsi, forse bisognerebbe applicare delle leggi più severe che condannino questo fenomeno e gli autori e quei genitori complici.

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::autore_::di Gianfranco Cannarozzo::/autore_:: ::cck::2598::/cck::

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