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Non è facile orientarsi nella marea di avvenimenti susseguitisi nel panorama mondiale nel corso della settimana conclusa con la visita di Stato di Angela Merkel alla Casa Bianca lo scorso 27 aprile.
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Non è facile orientarsi nella marea di avvenimenti susseguitisi nel panorama mondiale nel corso della settimana conclusa con la visita di Stato di Angela Merkel alla Casa Bianca lo scorso 27 aprile.
La stampa nazionale italiana, tutta intenta a fare il tifo per una o l’altra ipotesi delle soluzioni praticabili al rebus del toto-governo, non appare sufficientemente attenta al vuoto politico che si sta protraendo da due mesi.
Per comodità di narrazione conviene limitarsi agli avvenimenti che hanno maggiore attinenza con la graduatoria dei fatti che hanno riflesso con il ruolo dell’Italia nel panorama mondiale, un ruolo che sta evidenziando un picco in discesa, dovuto alla sua assenza dalle relazioni con i Paesi europei di riferimento ed in particolare Francia e Germania.
Si potrebbe affermare che la visita di Stato della Merkel alla Casa Bianca è stata caratterizzata dalla necessità di recuperare dopo il disastro diplomatico che aveva caratterizzato la prima visita di Stato della Cancelliera negli USA e che l’obiettivo è stato raggiunto, ma senza passi in avanti.
Infatti i due punti che interessano Trump, la denuncia dell’accordo sul nucleare iraniano ed il rischio di una guerra commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti sulla tassazione delle reciproche importazioni dell’acciaio europeo in USA e dell’alluminio americano in UE, non hanno registrato alcun passo avanti.
Insomma, rispetto a quella di Macron, la visita della Merkel è stata definita dalla stampa francese una “visita espresso”.
Molto diverso è stato il risultato della visita di Emmanuel Macron a Donald Trump, come hanno evidenziato gli avvenimenti e la loro copertura mediatica. La preparazione della visita di Stato è apparsa meticolosa, rispetto agli obiettivi che l’Eliseo si prefiggeva di conseguire, fino al punto di non arretramento rispetto alle proprie tesi non proprio in sintonia con quelle dell’Ospite, manifestato nel discorso conclusivo davanti al Congresso.
A quello stesso Congresso al quale James Mattis, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, ha promesso “un nuovo sforzo” contro l’IS: “I francesi ci hanno rafforzato in Siria con le forze speciali nelle ultime due settimane.” Una affermazione non confermata dai francesi ma che se appare coerente con il loro pragmatismo dei “fatti compiuti”, non sempre lo è con le procedure democratiche.
Lo stile dei fatti compiuti, come accadde anche con l’intervento aereo in Libia nel 2011 per rovesciare Gheddafi, sta diventando ormai una costante della politica estera francese, che non tutti possono definire proprio “amicale”. E se la Francia usa discrezione nella diffusione delle notizie che la riguardano, non altrettanto fanno i suoi temporanei “amici”.
La Turchia, ad esempio, non fa mistero dello scarso gradimento nel vedere alleati della NATO continuare a sostenere le forze curde contro cui ha lanciato l’offensiva nel mese di gennaio nel nord della Siria.
Ai primi di aprile, ad esempio, era “sfuggita” una mappa delle posizioni di unità speciali in Siria, che si riferiva all’incirca a 200 americani e 75 francesi. Ed è notizia di ieri che il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha preso in contropiede i suoi avversari convocando le elezioni presidenziali e legislative per il 24 giugno prossimo, anticipandole dal 3 novembre 2019.
“Allo stato attuale, noi non ci ritiriamo, Mattis ha assicurato al Congresso. Assisterete ad un nuovo sforzo nella valle dell’Eufrate nei prossimi giorni contro ciò che resta del Califfato”: leggiamo in un commento di “Le Monde” alla visita di Macron.
Lo Stato Maggiore francese vuole continuare ad appoggiare le forze curde che hanno cacciato lo Stato Islamico nel nord-est del paese e conta su di loro per non abbassare la guardia. I due alleati, Francia e USA, hanno schierato mezzi fuori dal comune, ma dicono all’unisono di voler ridurre le ultime sacche jihadiste: circa 3000 combattenti sarebbero ancora al servizio dell’organizzazione nella valle dell’Eufrate, il confine iracheno-siriano.
Secondo un dispaccio Reuters del 29 aprile, inoltre, Macron ed il leader iraniano Hassan Rohani hanno concordato “di lavorare nelle prossime settimane per preservare il contenuto dell’accordo [sul nucleare] 2015 in tutte le sue componenti”, mentre Donald Trump ha dato tempo fino al 12 maggio ai firmatari europei del testo, Francia, Regno Unito, Germania, per “riparare gli orribili errori” di questo accordo.
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::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::2605::/cck::