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Una doppia tornata elettorale ha interessato lo scorso weekend due importanti paesi affacciati sul Mediterraneo. Una svolta storica per la democrazia in un’area contraddistinta da turbolenze e derive autoritarie
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La doppia tornata elettorale, che ha interessato lo scorso weekend due importanti paesi affacciati sul Mediterraneo, rappresenta una svolta storica per la democrazia in un’area contraddistinta da turbolenze e derive autoritarie. I cittadini di Libano e Tunisia sono andati alle urne rispettivamente per rinnovare il Parlamento e le amministrazioni locali.
Particolarmente significativo il voto nel Paese dei Cedri, che ha espresso la nuova Assemblea Nazionale dopo 10 anni di impasse ed una situazione geopolitica a dir poco ingarbugliata, anche a causa della guerra civile siriana che ha causato l’afflusso nella piccola nazione di oltre un milione di profughi.
Secondo i primi dati ad uscire vittoriosa è stata la coalizione composta dal partito sciita filo-iraniano Hezbollah, dallo storico schieramento denominato Amal, da sempre vicino alla leadership di Damasco, dal principale partito cristiano-maronita del paese, il Free Patriotic Movement, e dal piccolo ma determinante gruppo sunnita Ahbash.
Nonostante l’affermazione elettorale, è importante ricordare che il sistema politico libanese, nato dall’accordo di Taif del 1989 che ha sancito la fine di 15 anni di guerra civile, prevede che il Parlamento sia diviso equamente tra musulmani e cristiani, con una leggera maggioranza a favore dei secondi, in virtù della delicata composizione demografica del paese.
Anche le maggiori cariche dello Stato sono, dalla fondazione del “Libano moderno” nel 1943, equamente divise tra le principali confessioni nazionali. Il Presidente della Repubblica deve essere sempre un cristiano-maronita, il Primo Ministro un musulmano sunnita ed il Presidente del Parlamento un musulmano sciita. Nonostante questa rigida ma inevitabile composizione istituzionale, le recenti elezioni hanno dimostrato un’avanzata delle forze sciite che indubbiamente rafforza l’asse con Teheran, da sempre sponsor delle milizie Hezbollah che controllano la parte meridionale del paese.
Nel prossimo futuro dunque, le tensioni con Israele sono destinate ad aumentare così come i contraccolpi nella vicina e martoriata Siria, dove ancora non si vede una chiara via d’uscita dalla sanguinosa guerra in corso dal 2011.
Diverso ma non meno importante il voto che si è svolto in Tunisia per esprimere le amministrazioni locali, rimaste in qualche modo “congelate” dalla caduta di Ben Ali, atto d’avvio della stagione delle cosiddette rivoluzioni arabe in tutta la regione. Proprio la possibilità di esprimere democraticamente le rappresentanze cittadine del Paese dei Gelsomini è stata una delle ragioni che hanno portato alla defenestrazione dell’ex Presidente.
Anche se non ci saranno direttamente ripercussioni a livello nazionale, la partita elettorale che si è giocata domenica scorsa sembra destinata a premiare il partito islamista moderato Ennahda a discapito del fronte dei partiti laici Nidaa Tounes, di cui fa parte l’attuale Presidente Beji Caid Essebsi. Aldilà dell’esito finale, rimane l’imprescindibile consolidamento democratico del paese, dopo la stagione della dittatura e agli anni di caos dovuti al cambiamento. Un dato in particolare deve far riflettere: in queste elezioni amministrative tunisine più della metà dei candidati erano donne o giovani, un fatto straordinario, non solo per un paese islamico ma per tutta l’area mediterranea.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::2615::/cck::