Il linguaggio volutamente criptato del capolavoro di Dante Alighieri nasconde idee e messaggi esoterici e allegorici che possono essere compresi soltanto da coloro che conoscono il ‘segreto’.
La Divina Commedia è una delle opere poetiche più belle e coinvolgenti che siano mai state scritte, uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale. Scritta in lingua volgare fiorentina, spesso di non immediata comprensione per noi moderni , trascina il lettore in un mondo fantastico, dove l’invenzione poetica si mescola con fatti e personaggi storici creando un intreccio narrativo dal cui fascino è difficile sottrarsi.
L’autore, Dante Alighieri la divide in tre parti, inferno, purgatorio e paradiso, ciascuno di trentatré canti, escluso l’inferno a cui se ne aggiunge uno iniziale che fa da proemio.
Ma chi era veramente Dante? Innanzitutto il suo nome: Durante Alagherii trasformato poi in Dante da Boccaccio. Quindi già il nome che ci è stato tramandato non è corretto. Quali furono le sue idee in campo politico e religioso?
Quello che sappiamo di lui è che apparteneva alla corrente politica dei guelfi bianchi, anche se il Foscolo lo chiamò il ‘ghibellin fuggiasco’ per via delle sue idee più vicine a posizioni ghibelline che guelfe. D’altro canto i bianchi erano la corrente più moderata dei guelfi ed erano sicuramente più vicini ai ghibellini che non ai neri che pretendevano invece la netta supremazia del papato rispetto all’Imperatore.
La Divina Commedia è il racconto di un viaggio. Dante si perde in una ‘selva oscura’ e da lì, guidato da Virgilio prima e da Beatrice nel paradiso, incontrerà personaggi famosi e meno famosi premiati o condannati al castigo eterno a seconda di ciò che hanno fatto in vita. La lettura è indubbiamente avvincente e su questa opera sono stati versati fiumi di inchiostro per carpirne l’esatto significato ed il contesto storico.
In passato qualcuno, ha però ipotizzato che la ‘Commedia’ possa essere un libro iniziatico, un poema con almeno due livelli di interpretazione: il primo letterale ed il secondo, simbolico. Il tutto deriva da tre versetti del canto IX dell’inferno: dal 61 al 63: “O voi ch’avete l’intelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto il velame de li versi strani.” Il messaggio secondo alcuni storici e critici è chiarissimo: Dante vuole avvertire il lettore che dietro i suoi versi si nasconde qualcosa che soltanto chi ha la chiave di lettura giusta può capire.
E’ ormai unanimemente accertato che il sommo poeta fosse un membro della setta dei Fedeli d’amore, setta alla quale appartenevano anche Lapo Gianni e Guido Guinizelli. La segretezza era d’obbligo in tempi in cui certe idee potevano costare la vita. Qualcuno sostiene inoltre che questa setta era a conoscenza di ‘segreti’ che non potevano essere divulgati e che addirittura furono dei precursori dell’ordine mistico della Rosacroce apparso in Germania verso l’inizio del XVII° secolo.
E’ stato detto che Dante potesse essere un templare e che quando l’ultimo gran maestro, Jacques de Molay fu bruciato a Parigi, il poeta fosse lì. C’è chi vede nei versi della Commedia un’influenza catara, la setta gnostica che fu estirpata dalla crociata guidata da Simone di Montfort terminata il 16 Marzo 1244 con la presa dell’ultimo castello cataro: Montsegur in Occitania.
Il primo a scorgere nei versi della più grande opera dantesca, qualcosa di più complesso del semplice racconto fantastico fu René Guenon. Guenon, studioso di esoterismo, vide nei versi dell’opera un intreccio di simboli e idee che faceva addirittura risalire al pitagorismo. Ma fu Gabriele Rossetti, carbonaro ed esule italiano in Inghilterra a cercare di comprendere l’esatto significato dei versi danteschi. Basandosi sulla XIII epistola di Dante indirizzata a Cangrande della Scala Rossetti cercò ‘l’altro senso’ di cui parla il Sommo Poeta. Dice infatti l’Alighieri: “è da sapersi che il senso di quest’opera non è unico, anzi può dirsi polisema, cioè di più sensi (“dici potest polisemas, hoc est plurium sensuum”). Infatti il primo senso è quello che si ha dalla lettera, l’altro è quello che si ha dal significato attraverso la lettera (“nam primus sensus est qui habetur per litteram…” alius est qui habetur per significata per litteram“). Da qui l’uso di un linguaggio allegorico adatto ad essere compreso solo da determinati individui che ne posseggano le chiavi.
Dante faceva parte di una setta i cui seguaci parlavano di donne, ma la donna era l’allegoria della verità superiore, che Rossetti identifica con la ‘Sophia’ degli antichi greci e che molti fanno risalire agli antichi egizi. Anche la ‘Candida Rosa’ che Dante vede nel Paradiso è un chiaro simbolo alchemico. Nella Divina Commedia, come dice esplicitamente il suo autore, il linguaggio è volutamente criptato e può essere compreso soltanto da coloro che conoscono il ‘segreto’. Platone ben prima di lui, disse che le verità superiori non possono essere date in pasto agli uomini qualunque. Di esse se ne può parlare soltanto in maniera allegorica, specialmente in periodi in cui renderle pubbliche poteva causare seri problemi.