La parola

Impeachment

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Per la seconda volta il leader del Movimento 5 Stelle Di Maio chiede  la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica. Vediamo cosa è previsto dal nostro ordinamento.

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Se non si trattasse di una cosa estremamente seria soltanto nell’evocarla, basterebbero poche battute per liquidare quanto avvenuto nelle ore successive alla rinuncia del presidente incaricato Conte e alle ferme dichiarazioni del capo dello Stato sulle ragioni che hanno portato alla ulteriore crisi del governo mai nato tra M5S e Lega.

Parliamo della minaccia avanzata dal leader pentastellato di messa in stato di accusa del presidente Mattarella per aver impedito la nascita del governo con Salvini. Non nuovi a questi exploit populistici e demagogici, incuranti delle norme costituzionali vigenti ma con l’occhio all’incubo onirico della società che vorrebbero instaurare, i grillini sono tornati ad appena un anno dalla medesima minaccia nei confronti del presidente emerito Napolitano, ad attaccare il Colle, seguiti a ruota con improvvida solerzia da Fratelli d’Italia. 

Per capire di cosa si tratta dobbiamo innanzitutto ritornare su cosa sia questo istituto che ormai per inglesizzazione della lingua definiamo impeachment. E’ in realtà uno tra  gli istituti della c.d. giustizia politica, cioè tra quegli istituti in cui le assemblee parlamentari svolgono una funzione di tipo giurisdizionale (ad esempio, artt. 1, sez. III, e 2, sez. IV, Cost. U.S.A. 1787; tit. III, cap. II, sez. IV, artt. 5 e 8 Cost. Francia 1791; artt. 33 e 55 Cost. Francia 1814; artt. 28 e 47 Cost. Francia 1830; artt. 36 e 47 Statuto albertino; art. 9 l. cost. 24.2.1875 e art. 12 l. cost. 16.7.1875 Francia), e costituisce l’antecedente storico delle moderne forme di responsabilità politica.

L’istituto – riporta il dizionario – nasce nell’Inghilterra medioevale, a seguito della crisi costituzionale del 1376, in cui il Parlamento rivendicò a sé il diritto di giudicare i Ministri del Re colpevoli di gravi reati, sottraendo questo potere al Consiglio privato della Corona (Curia Regis). A seguito della differenziazione tra i due rami del Parlamento in Camera dei comuni e Camera dei Lord, la procedura dell’impeachment si è perfezionata, nel senso che è stato stabilito che la messa in stato di accusa spettasse alla prima, mentre alla seconda spettasse il vero e proprio giudizio. L’istituto ha poi assunto una grande importanza nella seconda metà del XVII secolo, in quanto, stante il principio dell’irresponsabilità del Monarca («il Re non può far male»), esso costituiva il modo attraverso cui far valere la responsabilità dei Ministri nei confronti del Parlamento, tanto che nell’Act of Settlement (1700) vi fu un riconoscimento formale di esso. Tuttavia, nel momento stesso in cui alla responsabilità penale si andava sostituendo una forma di responsabilità politica, tramite il voto di fiducia (Fiducia parlamentare), l’impeachment è caduto in desuetudine: nell’ambito della storia costituzionale inglese, infatti, gli ultimi due procedimenti sono datati rispettivamente 1788 e 1805.

Nel frattempo, però, la procedura di impeachment è stata recepita nella Costituzione degli U.S.A., con un’accentuazione del suo carattere politico: l’art. 1, sez. III, Cost. U.S.A. 1787 prevede, infatti, che la procedura non abbia altro scopo che di allontanare dalla sua carica il condannato, ferma restando la possibilità di sottoporlo anche a procedimento penale e condannarlo. Per quanto riguarda gli aspetti procedurali, la messa in stato di accusa viene deliberata dalla Camera dei rappresentanti a maggioranza assoluta, mentre la condanna viene pronunciata con deliberazione del Senato a maggioranza dei due terzi. Possono essere soggetti ad impeachment il Presidente, il Vicepresidente, i membri del gabinetto presidenziale, i funzionari di nomina presidenziale e gran parte dei giudici, compresi quelli della Corte suprema. Nel giudizio contro il Presidente, il Senato non viene, però, presieduto dal Vicepresidente, ma dal Presidente di quest’ultima. Nella storia costituzionale statunitense, mentre vi è stato un solo caso di impeachment contro un giudice della Corte suprema, non riuscito a causa del mancato raggiungimento del quorum dei due terzi, vi sono stati diversi casi di impeachment contro Presidenti: oltre quello rivolto contro Johnson, rimosso dalla carica nel 1868, si possono citare quellocontro Clinton (che non ottenne, però, la suddetta maggioranza dei due terzi) e quello contro Nixon (che, per evitare la messa in stato di accusa, preferì dimettersi poco prima della votazione).

Letteralmente la parola inglese è apparentata con quella francese empêchement che vuol dire  «ostacolo, impedimento», collegato al tardo latino “impedicare” ovvero «inceppare, impastoiare».

L’ordinamento costituzionale italiano all’art. 90, nel ribadire l’irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, prevede che esso possa essere messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune soltanto nell’ipotesi di alto tradimento e di attentato alla Costituzione. Il Parlamento delibera a maggioranza assoluta dei propri componenti. Il giudizio è pronunciato dalla Corte costituzionale in composizione integrata, ai sensi della disciplina dettata dagli art. 134 e 135, settimo comma, della stessa Costituzione.

Appare abbastanza evidente che nessuna delle due ipotesi estreme possa essere invocata nell’attuale situazione politica nella quale il capo dello Stato ha esercitato il potere di nomina dei ministri per opporsi alla nomina di uno di quelli proposti dal premier incaricato perché in contrasto con la posizione internazionale del Paese e nella sua collocazione europea, non essendo questo genere di elementi presente né nella campagna elettorale né tanto meno nel contratto stilato dai leader dei partiti di maggioranza. Molti i pareri contrari alla procedura. Tra questi il costituzionalista Michele Ainis secondo il quale non ci sono “gli estremi”, sottolineando che la Carta prevede che i poteri devono essere condivisi. In assenza di questa condivisione, anche a prezzo di necessarie e difficili trattative – ha osservato –  “c’è il rischio di scivolare in una concezione giacobina della sovranità popolare”. Con ciò tradendo la Costituzione e arrivando direttamente a una crisi di sistema.

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::2659::/cck::

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