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Tunisia: la vittoria di nessuno

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Paesi del Magreb

Le elezioni municipali che si sono svolte in Tunisia ai primi di maggio hanno delineato un quadro preoccupante della situazione politica nel Paese dei Gelsomini che potrebbe avere anche dei riflessi sull’Italia

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Le elezioni municipali che si sono svolte in Tunisia ai primi di maggio, le prime dalla caduta di Ben Ali nel 2011, hanno delineato un quadro preoccupante della situazione politica nel Paese dei Gelsomini che potrebbe avere anche dei riflessi sull’Italia.

La tornata elettorale, che non aveva ricadute dirette sul governo nazionale ma rappresentava un importante passaggio verso il consolidamento democratico della più piccola nazione del Maghreb, ha visto infatti un altissimo tasso di astensione, stimabile intorno al 60% degli aventi diritto al voto.

I paesi del Magreb

Le ragioni di questa disaffezione verso la politica sono molteplici, ma fondamentalmente riconducibili alla situazione economica del paese e alle grandi aspettative che i circa 10 milioni di tunisini avevano riposto dopo la defenestrazione dell’ex Presidente fuggito in Arabia Saudita con i familiari dopo aver depredato per oltre un ventennio le casse dello Stato. In questi sette anni dalla “rivolta popolare” del 2011 il potere d’acquisto delle famiglie è sensibilmente sceso, a causa soprattutto della frenata del turismo dovuta agli attentati che periodicamente sono avvenuti nel paese per mano dei fondamentalisti islamici. La Tunisia infatti, nonostante le sue piccole dimensioni, ha “esportato” un numero consistente di foreign fighters nei teatri di guerra del Medio Oriente: soprattutto in Siria e nella dirimpettaia Libia, dove è ancora in corso una drammatica guerra civile, come testimonia il recente assalto al parlamento di Tripoli da parte delle milizie di Misurata.

Il reinserimento sociale dei combattenti che hanno fatto ritorno a casa è uno dei principali problemi che il governo tunisino si trova ad affrontare per garantire la stabilità del paese. Lo scorso marzo infatti è stato prorogato lo stato di emergenza per altri sette mesi, in modo da consentire in vista dell’estate e dunque del periodo di maggior appeal turistico, una parvenza di sicurezza. Nel paese inoltre è attivo un Comando Multiforze, del quale fanno parte anche militari italiani, con il compito di combattere il terrorismo islamico nella regione e di scoraggiare le partenze dei migranti verso l’Europa. Un compito improbo, che potrà essere agevolato solo con il miglioramento della situazione economica, soprattutto per quanto riguarda l’inserimento nel mercato del lavoro dei giovani tunisini che costituiscono la maggioranza degli abitanti della nazione.

Tornando alle recenti elezioni amministrative, aldilà dell’altissimo tasso di astensione, lo spoglio delle schede ha delineato la vittoria delle liste indipendenti che si sono affermate ai danni dei due principali partiti del paese. Ad essere penalizzata è stata in particolare la formazione laica Nidaa Tounes, alla guida del governo, a causa degli scandali di corruzione che periodicamente hanno riguardato alcuni dei suoi esponenti maggiormente rappresentativi. Da ricordare peraltro che questo partito era stato votato nelle elezioni legislative del 2013 soprattutto dalle donne tunisine preoccupate dell’avanzata dello schieramento islamico moderato denominato Ennadha anch’esso membro dell’alleanza di governo. Anche questa formazione islamista ha visto un’emorragia di voti ma in maniera meno accentuata rispetto ai laici. Segno che nei momenti di difficoltà sempre più persone tendono a identificarsi con i movimenti religiosi, gli unici in grado di fornire alla gente una barra esistenziale che possa prescindere dal puro materialismo.

Una deriva che dovrebbe preoccupare soprattutto l’Italia che, vista la sua vicinanza alla Tunisia, sarebbe il paese europeo a pagare il prezzo più alto nel caso di una destabilizzazione della nazione culla delle “rivoluzioni arabe”.

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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::2656::/cck::

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