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La crisi istituzionale degli ultimi giorni, ha rimesso al centro del dibattito fondamentali temi economici che ricorrono spesso in tempi di crisi, con spred e debito pubblico protagonisti.
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La crisi istituzionale degli ultimi giorni, che ha portato per partenogenesi la nascita del nuovo governo, ha rimesso al centro del dibattito fondamentali temi economici che ricorrono spesso in tempi di crisi, con lo spread e il debito pubblico protagonisti assoluti del tamtam mediatico.
Gli attacchi e i moniti ricevuti dal nostro Paese da parte di esponenti del mondo politico europeo hanno acceso ancor di più il clima già infuocato del momento.
Per la prima volta, all’interno dell’Unione Europea, un paese politicamente e economicamente rilevante come l’Italia vede l’avvento tra Montecitorio e Palazzo Madama di un governo euroscettico e “populista”, contrastato pubblicamente da tutti o quasi i giornali nazionali ed esteri.
Più che le tensioni scaturite sui mercati nei giorni dell’incertezza, sarebbe interessante capire come il Paese più filo europeista dell’UE, almeno fino a 10 anni fa, abbia di colpo cambiato indirizzo e obiettivo.
Nell’osservare gli ultimi dieci anni, i maggiori indicatori economici potrebbero essere la cartina di tornasole del sentimento italico, con il tasso di disoccupazione passato dal 7% al 12%, con il raddoppio dei cittadini al di sotto della soglia di povertà e con un Pil ancora inferiore al livello del 2007.
Numeri da eventi commisurabili a una guerra, a carestie o inondazioni bibliche.
Di pari passo, il ruolo dello Stato sociale, fornitore dei servizi essenziali come la Sanità universale e tutte le altre forme di assistenza, ha visto la scure dei tagli lineari dettati dall’austerità imposta a Bruxelles, con gli esiti che sappiamo e conosciamo.
Agli Italiani è stato detto che sono donnaioli e scansafatiche, corrotti e truffaldini, che lo sperpero degli anni passati chiede ora un conto salato e solo attraverso la cessione di sovranità e i vincoli imposti si potrà continuare a stare a tavola con i grandi.
Le reazioni, a volte indignate a volte meno, si scontrano con le linee dell’austerità definita “espansiva” degli ultimi 7 anni che hanno visto l’Italia seguire tutti i dettami della commissione europea, con i risultati di uno scollamento totale dell’unità sociale ed economica.
Voci critiche al dogma dell’euro sono state oscurate e rese inoffensive da parte di un certo establishment politico ed economico e solo negli ultimi tempi il voto anti sistema mette al centro un dibattito che andrebbe affrontato seriamente.
Gli autorevoli interventi da parte di premi Nobel economici come Stigliz, Krugman e il cattedratico Feldstein (Harward University), fortemente critici sull’architettura dell’euro, sono stati sempre inseriti in trafiletti delle pagine interne dei giornali, per evitare discussioni e il pensiero dominante.
Nulla appare sui media circa la tabella in allegato, dove uno studio della commissione europea datato 2015 testimonia che il nostro debito pubblico è tra i più sostenibili in Europa, sia fiscalmente sia economicamente.
Di certo, se si dovesse proseguire in politiche recessive composte esclusivamente di tagli alla spesa e incremento della tassazione, il debito pubblico diventerà sempre più oneroso e difficilmente rinnovabile, a meno di attaccare sempre di più gli 8.000 miliardi di euro di ricchezza privata dei cittadini.
Ma forse è già questo l’obiettivo.
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::autore_::di Gianluca Di Russo::/autore_:: ::cck::2665::/cck::