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La parola scelta questa settimana è tèst, che indica il gesto di fare una prova, un saggio o un esperimento. Per altro verso indica anche il mezzo o criterio di prova, di analisi e di valutazione.
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E’ complesso, in una realtà come quella del nostro paese, pensare di attribuire un significato sufficientemente stabile all’opinione degli elettori. Dopo decenni di sistema bloccato è cominciata un’evoluzione sempre più accentuata di variabilità e mutevolezza nel corpo elettorale. Un fenomeno che pur con qualche limite si era già messo in moto a metà degli anni settanta e che aveva trovato nelle elezioni amministrative il terreno di coltura. L’esistenza tuttavia di forti organizzazioni politiche e partitiche ha per molti anni rallentato e imbrigliato queste prime forme di instabilità. Con la crisi istituzionale della prima repubblica il sistema si è messo in movimento e ancora lo è, dopo la stagione interminabile di una seconda repubblica nella quale nessun elemento è uscito eguale al suo inizio. Sono finiti i grandi partiti, si sono sviluppate leadership personali e, quasi come evidente risultato, gli elettori hanno avviato una nuova fase che sta raggiungendo in questi anni il massimo della sua espressione.
Un bene, un male? Forse entrambi. Per molto, troppo tempo, nulla è cambiato nonostante i segnali cominciassero a farsi sentire magari in elezioni locali o in tornate amministrative. Intanto il distacco dalla politica è divenuto elemento caratterizzante del panorama nazionale in una ricerca confusa ma non meno rilevante di nuovi approdi.
Quello al quale assistiamo nel breve volgere di poco meno di sei mesi è dunque un vero fenomeno sociologico e politico allo stesso tempo. Le variazioni anagrafiche nel corpo elettorale, l’aumento di giovani che si avvicinano alle urne e soprattutto una generale disaffezione, stanno producendo qualcosa di sempre meno insolito ad un’osservazione costante della nostra società: non esistono più punti di riferimento né tradizionali né tanto meno storici e gli umori dei cittadini si manifestano con grande libertà e mutevolezza anche nel breve volgere tra due appuntamenti elettorali. Resta ancora una differenza, una sfumatura non secondaria tra voto locale e voto nazionale ma si confermano i trend generali.
Siamo all’eclissi dei protagonisti della seconda repubblica come li abbiamo conosciuti e ancora è difficile catalogare i nuovi soggetti. Il fenomeno appare anche abbastanza coerente e se non omogeneo paragonabile sia a nord che a sud, con la tendenziale polarizzazione verso forze o movimenti ritenuti fuori dal sistema e che tendono a presentarsi come i veri interpreti del cambiamento che gli italiani vanno cercando da quasi trent’anni! Ma la velocità con la quale tutto si svolge rende pressoché impossibile trovare un significato leggibile in termini politici tradizionali. E, come spesso accade in un movimento a pendolo, da un estremo ci si sposta verso l’altro e l’equilibrio può attendere sotto la spinta di questioni, di interessi, di esigenze pressanti ed ineludibili.
Ecco perché la parola scelta è tèst, vocabolo che deriva dall’inglese nel senso di «saggio reattivo», e questo a sua volta dal francese antico dove indicava il «vaso» (usato dagli alchimisti per saggiare l’oro). Risalendo all’indietro troviamo anche il corrispondente latino “testu” o “testum”. Immutato il valore che indica il gesto di fare una prova, un saggio o un esperimento. Per altro verso indica anche il mezzo o criterio di prova, di analisi e di valutazione.
Il test può avere varia natura. Esistono quelli mentali o psicologici indicando una prova alla quale si ricorre per la valutazione di una data caratteristica psicologica e mentale. O ancora si riferisce a un quesito o insieme di quesiti, ciascuno dei quali ammette una risposta corretta da scegliere fra alcune che vengono proposte. Ci sono poi quelli medici o diagnostici e quelli impiegati in statistica per valutare l’attendibilità dei risultati ricavati da una rilevazione per campioni.
Tutti fanno parte della nostra quotidianità, chi più chi meno di frequente. Tra questi vi sono anche i test elettorali dei quali si è riflettuto in precedenza e che danno, o dovrebbero dare, una fotografia più o meno attendibile della volontà popolare.
Le ultime tornate dal referendum dello scorso dicembre alle politiche di marzo, alle amministrative di domenica scorsa hanno chiaramente restituito un’istantanea di un paese alla ricerca di qualcosa di nuovo e diverso dal passato, ma che non trova ancora risposte certe e stabili. Unica realtà ormai verificata, la fine di ogni forma di rappresentanza politica espressione di blocchi sociali o ideologici. Non un impazzimento, ma anche in questo caso la perfetta trasposizione di una collettività nazionale percorsa da forti tensioni tuttora irrisolte. E il test amministrativo appena conclusosi ha mostrato soprattutto questo: non ci sono più dati certi, rendite di posizione, deleghe in bianco, neppure per chi si trova sula cresta dell’onda ed esprime il governo nazionale. L’elettore sceglie sulla base di suggestioni momentanee più che ragionando in termini di scenario a medio o lungo termine. E’ il “qui ed ora” che sembra prevalere e fa ritenere che un nuovo equilibrio, ancorché vagheggiato da qualcuno o temuto da qualcun altro, sia ancora lontano dal realizzarsi!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::2678::/cck::