Le elezioni del 4 marzo hanno disegnato un nuovo parlamento senza maggioranze chiare. Chi governa in Italia? La domanda potrebbe apparire superflua se non ultronea ma al contrario è estremamente calzante.
Chi governa in Italia? La domanda potrebbe apparire superflua se non ultronea ma al contrario è estremamente calzante. Dopo le elezioni del 4 marzo che hanno disegnato un nuovo parlamento senza maggioranze chiare, dopo il tortuoso cammino di uscita dalla crisi istituzionale scoppiata per la scelta di inserire un esponente dichiaratamente antieuropeo nell’esecutivo e il diniego del Quirinale, dopo elezioni amministrative che hanno mutato e non in modo insignificante gli equilibri all’interno della maggioranza che ha dato vita all’esecutivo tra 5Stelle e Lega, il quadro di riferimento risulta assolutamente indecifrabile. E questo al netto delle affermazioni dei leader sull’attuazione dei punti del contratto, oggetto misterioso che sembra confermare il famoso detto dell’araba fenice “che ci sia nessun lo nega, dove sia nessun lo sa”!
La prima cosa che risalta è la considerazione diciamo così ovvia che il presidente del Consiglio sia il perno dell’esecutivo e, tuttavia, non occorre una grande capacità di analisi per accorgersi che le linee guida vengono delineate dai due vice premier che sembrano costantemente impegnati a fare dichiarazioni che mettano l’uno in risalto rispetto all’altro, in un crescendo degno delle migliori opere liriche ottocentesche. Interpretano il proprio ruolo in modo estensivo nei rispettivi campi di competenza: Salvini sembra avviato ad una gestione evolutiva del ministero dell’interno così come Di Maio di quello dell’economia (ministro Tria permettendo). E il duello appare evidente nel tentativo di entrambi di far divenire centrale il proprio a discapito dell’altro.
La seconda considerazione è che il premier è esattamente quello che il leader pentastellato delineò prima della nascita del governo: un esecutore, ovviamente di input altrui. Unico elemento di novità la riserva in certo senso a lui riconosciuta dei rapporti internazionali dove si fa interprete della posizione nuova impressa al nostro paese: basta vedere le sue dichiarazioni a pre vertici e vertici come sul caso migranti. Anche questa considerazione appare ovvia anche se il ruolo internazionale rischia di comprimere le competenze e il ruolo del ministro degli esteri Moavero abituato peraltro ad agire senza clamore.
Un mosaico complesso, ancora in formazione e movimento che non consente ancora di comprendere esattamente la reale direzione che il governo prenderà nei prossimi mesi. Immigrazione, rapporti in Europa, crisi economica, debito pubblico, opere pubbliche infrastrutturali, lavoro, sud e molto altro stanno componendo una miscela ad alto rischio per contenere la quale non serviranno slogan e affermazioni trancianti. Il paese deve mantenere il suo equilibrio finanziario ed economico produttivo e il dialogo sociale deve ripartire dopo le contrapposizioni elettorali. Come possa accadere con una sorta di governo “trifronte” in continua tensione non è ancora dato sapere!
A questo deve aggiungersi l’evidente cambiamento dell’equilibrio tra i due contraenti dopo gli ultimi dati elettorali. La Lega è in forte ascesa e trascina anche il centrodestra rafforzando la coalizione maggioritaria nel paese anche se a geometria variabile. Per i cinquestelle i risultati indicano una evidente rallentamento se non una vera battuta di arresto. E’ la prima volta per il movimento fattosi forza di governo che sconta la carenza di esperienza amministrativa a più livelli. Appare chiaro che i rapporti di forza nella coalizione stanno mutando a favore della Lega e questo potrebbe avere presto riflessi nel braccio di ferro che è alla base dell’alleanza governativa. Il vero test – accanto a prove amministrative – sarà quasi sicuramente il voto delle europee del prossimo anno, con beneficio del dubbio, considerando la parabola subita dal Pd renziano dopo l’appuntamento elettorale continentale.
Proprio il Pd e la sorte della sinistra italiana sono un altro elemento su cui riflettere. Il voto degli italiani ha consegnato il partito all’opposizione e l’onda montante del sovranismo e del populismo rischia di rafforzarne l’irrilevanza almeno in questa prima fase della legislatura. Per i dirigenti si pone l’interrogativo di quello che dovrà essere la sinistra nel paese avendo avuto molti temi cavalcati dai nuovi governanti e avendo subito la scissione di Liberi e Uguali peraltro pressoché inesistente in termini elettorali. Il recupero dei temi progressisti e della base sociale in libera uscita è ora la vera sfida e al momento non sembra esservi identità di vedute tra i principali esponenti di quello che pochi mesi fa era il partito al governo. Le posizioni che emergono sono spesso divergenti tra chi pensa a recuperare e chi a tentare la costruzione di un nuovo soggetto politico e questo non è certamente un buon dato e complica la ricerca di una vera sintesi che non può assolutamente essere un ritorno al passato, respinto con forza dal voto degli italiani. L’assenza di una forte opposizione è peraltro gravida di rischi anche per chi si trova ad essere maggioranza nel paese e al governo. Uno iato che va superato al più presto con idee forti e un programma rispondente alle esigenze del paese e non solo di una parte.
di Roberto Mostarda