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L’affascinate isola greca esplorata della giornalista culturale Silvia Mauro in esclusiva per italiani.net
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ll suo nome era rimasto conficcato nella memoria per trent’anni. Eppure, nel mio girovagare estivo per le Cicladi, non ero mai riuscita a raggiungerla. Folegandros mi si negava. Come se non potesse competere con la mondanità di Mykonos, i tramonti di Santorini, il fascino di Milos, l’imperdibile Monastero di Amorgos. Argomentazioni inoppugnabili che di volta in volta fidanzati e amici contrapponevano alla mia insistenza. L’ultima volta che l’avevo evocata fu quando gli amici di Altura, i bravissimi skipper con cui più volte ho navigato in barca a vela e perlustrato perfino qualche fondale, avevano annunciato che sì, questo piccolo gioiello incastonato nell’Egeo sarebbe stato la nostra meta. Perché – dissero- a giugno non c’è il Meltemi, e non sarà un problema arrivarci.
E invece: ancora una volta il sogno s’infranse. Proprio contro quel vento fresco proveniente dal Nord che ci sorprese a metà navigazione: raffiche fino a 50 km all’ora. Gli Dei benedicevano così quelle isole calcinate dal sole e già ansimanti per il caldo torrido, ma da me si levò verso l’Empireo tutto, alta e forte, una solenne maledizione.
Quest’anno ho raccolto definitivamente la sfida. Poco tempo a disposizione, ancora meno per decidere: vado da sola. Prendo al volo, ma in orario comodo, un Vueling Roma Fiumicino – Santorini. Prenoto una nave veloce che da lì mi porterà senza scali nell’isola dei desideri. L’hotel non è un problema: l’ho trovato d’impulso, mi fido delle mie intuizioni. È vicino al porto di Folegandros, praticamente sulla spiaggia di Karavostasis. Anche il suo nome suona come l’ennesima sfida. Si chiama, manco a dirlo, “ Aeolos”. Ma il vento al mio arrivo tace, mentre il crepuscolo mi avvolge di un incanto rosa.
Folegandros: sempre meno sconosciuto alle masse, il suo nome, sulla cui origine insistono almeno tre versioni: la più affascinante quella mitologica, dal figlio di Minosse che qui fu mandato in esilio ; la più seducente, almeno per le single, quella che la vorrebbe nell’antichità popolata prevalentemente da uomini- Πολύαντρος,Poliantros -; e infine la più attendibile, dal termine fenicio che significava “pietraia”. In effetti, con i suoi 32 chilometri di muri a secco, e la Chora inerpicata su un altopiano a strapiombo sul mare, la vita non doveva essere facile per i suoi pochi abitanti. Ma oggi al suo fascino di piccola isola sospesa tra mille sfumature d’azzurro, punteggiata dal candore dell’architettura cicladica e dal rosso delle bouganville, un turismo internazionale e piuttosto esclusivo ha aggiunto un tocco di sobria raffinatezza.
Piccole boutique tra i vicoli intonacati e verniciati di fresco fino al Kastro, ristoranti e caffè silenziosi benché affollati nelle piazzette tirate a lucido, e perfino qualche negozio di souvenir originali. In uno di questi ho incontrato Dimitri: lavora leggeri metalli e intaglia legni trovati sulla spiaggia, facendone creazioni d’ogni tipo. Sembra un irriducibile figlio dei fiori.
Al tramonto prima del rituale aperitivo a base di ouzo, raki o preferibilmente mastika (deliziosamente profumato e più leggero, ricavato dall’albero della gomma) eccomi ad affrontare il lungo sentiero in salita fino alla Panagia, il Monastero. La magia al calar del sole sul mare sarà la migliore delle ricompense.
Soggiornare al porto, per le famiglie o i più pigri, è una delle soluzioni migliori: le spiagge più belle sono a portata di mano. A cominciare dalle sue stesse acque cristalline fino al camping di Livadi , è tutto un susseguirsi di emozioni d’azzurro e profumi dimenticati: da Pountaki,a Vitsentios,fino a Latinaki, ancora oggi vero paradiso per nudisti e turisti solitari. Ma c’è anche, proprio dietro al molo, la grande spiaggia di Vardia. La più famosa resta però Katergo: ci si arriva quotidianamente con delle piccole imbarcazioni che vi fanno la spola dalle 11 di mattina fino alle 18, oppure a piedi ma muniti di acqua, scarpe idonee, e una certa propensione al sole cocente e alle discese ardite. Io ho scelto di arrivarci circumnavigando l’intera isola: su un caicco alla modica cifra di 40 euro, 6 ore di appagamento con tuffo nelle varie baie, un caffè in cima alla spiaggia di S.Nicholas (l’unica attrezzata), pranzo, e infine merenda con dei piccoli struffoli al miele (specialità isolana) nonché l’immancabile raki.
E poi c’è Anio Meria, villaggio nel nulla: il raglio di qualche raro asinello e il lieve tintinnare dei bicchieri nell’unico bar-ristorante. A romperne il silenzio assoluto.
La notte, qui, ha il sapore degli anni ‘50. Dall’albergo andata e ritorno passando per un viottolo illuminato solo da luna e stelle. E quattro chiacchiere con l’infaticabile gestore dell’unico ristorantino affacciato sul mare , Il Capo, aperto tutto l’anno . Lui è una specie di deus ex machina, pronto a risolvere i problemi dei turisti distratti: succhiando benzina dal suo scooter, a tarda sera, ha risolto l’anniversario di matrimonio ad una giovane coppia rimasta in panne.
Si chiama Petros, come richiama l’etimologia fenicia dell’isola, ma i suoi occhi hanno il chiarore dell’acquamarina.
Folegandros: isola di pietre sospesa tra cielo, mare e silenzi. Ti sei negata a lungo, ma non mi hai tradito.
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::autore_::di Silvia Mauro::/autore_:: ::cck::2721::/cck::