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Il fumus che pervade il governo

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I due vice premier Di Maio e Salvini attaccano la struttura amministrativa dello Stato e le sue figure preminenti e più significative.

Se non vivessimo in Italia e non avessimo chiaro il comune sentire dei connazionali, potremmo porci qualche domanda, dinanzi alle disinvolte affermazioni dei due vice premier Di Maio e Salvini per quel che riguarda la struttura amministrativa dello Stato e le sue figure preminenti e più significative.

Nel breve volgere di qualche settimana e in un crescendo di rincorsa a chi alza di più il tiro, abbiamo visto il responsabile dell’interno accusare pur velatamente anche le strutture militari come nel caso della nave approdata per intervento del capo dello Stato sul premier Conte. E poco dopo, il responsabile del lavoro, attaccare frontalmente (in seguito sostenuto dall’altro vice premier) il presidente dell’Inps  e minacciare di rimozione funzionari sinanco nelle ambasciate e liscandosolo per un caso (o per opportunità) gli uffici studi delle stesse Camere che quelle cifre in buona sostanza dovevano condividere, in relazione ai conti e ai numeri del cosiddetto “decreto dignità” in tema di contratti e per contrastare lo sfruttamento. Inevitabile il corollario della manine o delle manone che lavorano nell’ombra contro il governo, delle talpe che vogliono minare al stabilità dell’edificio!

Se le parole hanno un senso affermare come ha fatto il leader cinquestelle che il governo non approverà il trattato Ceta con il Canada e (invadendo il campo parlamentare) che la maggioranza non lo approverà a sua volta e aggiungendo poi che se qualche funzionario o diplomatico si esprimerà criticamente o peggio appoggerà l’intesa che attende il passaggio della Camere, verrà immediatamente rimosso, vuol dire una sola cosa. Accanto all’ovvia considerazione che le competenze sui funzionari e diplomatici attengono alla Farnesina e non al vice premier, quest’ultimo lascia intendere che nessuno deve opporsi o avere dubbi sul radioso finale dell’azione governativa! C’è da sperare che il Parlamento abbia ancora voglia di dire qualcosa in proposito a salvaguardia del suo ruolo e a difesa delle istituzioni repubblicane.

Sul provvedimento relativo la lavoro, si è assistito poi ad un’altra novità, una sorta di “combinato disposto” tra vice premier. Il ministro dell’interno ha attaccato il presidente dell’Inps per le sue affermazioni sui migranti regolari quale risorsa anche previdenziale e pensionistica, e ha poi rincarato la dose in soccorso del leader pentastellato quando lo stesso responsabile dell’Istituto ha posto in guardia sul peso negativo del rischio di uscite dal mondo del lavoro di migliaia di persone in applicazione delle nuove norme annunciate. Considerazione peraltro ovvia atteso che ,per quanto se ne conosce,il decreto prevede tra le sue misure la riduzione a 24 mesi da 36 dei contratti a termine in corso, creando un’evidente non occupazione per i titolari di essi, in attesa della stabilizzazione che dovrebbe essere il corollario finale del provvedimento che si pone l’obiettivo di sconfiggere il precariato e lo sfruttamento. Un dato certificabile, dunque, a fronte di uno preventivo da verificare (intervenendo in questo ambito la volontà di imprese e datori di lavoro di stabilizzare nelle condizioni date, considerando a questo proposito le critiche espresse dai vertici della Confindustria).

Ebbene. Salvini ha reiterato la richiesta al presidente Inps di dimettersi, il suo omologo Di Maio ha detto senza mezzi termini che poiché nei prossimi sei mesi (cioè sino a scadenza del mandato) il responsabile dell’ente previdenziale non può essere mandato a casa, ci penseranno subito dopo sostituendolo loro un minuto dopo! Insomma un combinato disposto tra una sorta di Robespierre e di Santjust, alla faccia delle istituzioni che sono chiamati a rappresentare, nel rispetto della legge. Il sottile fumus autoritario e soprattutto pesantemente dirigistico che emana da simili comportamenti non fa ben sperare e richiama la famosa massima “non disturbate il manovratore” che tutti conoscono e di cui comprendono benissimo il significato.

Se la portata di queste uscite andrà misurata nel concreto e nel confronto istituzionale più ampio, il solo fatto di averle pronunciate denuncia un deficit dialettico e la volontà di punire e colpire chi si oppone al cambiamento, senza neppure cercare di convincerlo (troppa fatica culturale e intellettuale evidentemente). Ma pone anche in evidenza un secondo e più grave problema: l’assenza di un’opposizione reale e capace di incidere sulla cosa pubblica, con determinazione e prontezza. Se per Forza Italia la fase attuale è quella di capire se potrà ancora esistere autonomamente o confluire in un soggetto più ampio a trazione leghista, per il Pd e la sinistra complice la spocchia e l’incapacità di mettersi in discussione, il discorso si fa più grave se possibile e più rischioso. La flebile reazione sostanziale agli episodi appena delineati rappresenta un pesantissimo vulnus sul futuro. Giova non dimenticare con l’antica saggezza che a furia di urlare “al lupo al lupo”, quando il predatore arriva, nessuno dà retta all’allarme. Ecco allora che anche soltanto la correzione di questo autolesionismo sarebbe benefica per tutti. Per i cittadini italiani in primis, poi per la politica in senso ampio, per la vita parlamentare e senza paradosso anche per chi guida il vapore. Non avvertire la pressione continua a e coerente sulle proprie scelte produce un senso di impunità che unito alla saccenteria e allo spirito sanculotto non porta nulla di buono! Il danno, come spesso si osserva, se la situazione non si corregge, sarà per tutto il paese, a livello interno e a livello internazionale!

di Roberto Mostarda

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