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Lo scrittore Jake Hinkson ambienta Inferno a Church Street all’interno di una comunità religiosa, la stessa dove è cresciuto, e affronta un tipo di narrazione tutta in prima persona.
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Autore: Editore: Edizioni del Capricorno Pagine: Pag. 220 Prezzo: euro 14,00 |
Verso l’Arkansas. Poco tempo fa. Il fuggitivo Paul cerca qualcuno da rapinare e incontra il grassone Geoffrey Webb. Gli punta la pistola e salgono in macchina. Geoffrey preme l’acceleratore a tutta e propone un accordo, non gli importa di morire. Da anni vive come una termite (e cita ancora Shakespeare): fa il turno di notte al supermercato della stazione di servizio fuori Sallisaw in Oklahoma, niente famiglia, niente amici, fuma e mangia schifezze. Ora vorrebbe tornare nel minuscolo paese di Little Rock, è disponibile a lasciare i tremila dollari nelle mani del rapinatore pur di potergli raccontare, lungo il percorso notturno di almeno cinque ore, perché merita di andare all’inferno. Comincia a guidare, parlare, narrare. Ha avuto una pessima infanzia e adolescenza: la madre menefreghista se ne andò poco dopo la separazione dal padre violento e sadico lasciandolo allo zio molto credente. Frequentò la chiesa battista, fu accettato nel gruppo giovanile da Fratello Leonard e, finite le superiori, pur non credendo, trovò lavoro come ministro per condurre il gregge dei giovani fedeli, ebbe discreto successo dicendo bene loro quel che volevano ascoltare, finché conobbe la figlia del pastore. Angela Card aveva meno di 17 anni, era poco attraente, sovrappeso, capelli biondo pallido e vacui occhi azzurri. Assegnarono a Geoffrey una casetta bianca di legno a meno di 5 minuti dalla canonica dei Card e a 10 dalla chiesa, tutte lungo Church Street. Lui nascose una consistente collezione di videocassette porno ma ormai pensava sempre ad Angela, riuscì a farle dimenticare il ragazzo di cui era invaghita, lentamente la conquistò e sedusse, non aveva mai baciato una ragazza prima, sarà la prima e ultima perché poi sarà scoperto e ricattato, avviando una spirale di violenza.
Lo scrittore americano Jake Hinkson (1975) è cresciuto in una comunità religiosa di una regione isolata delle Ozarks Mountains (dove il romanzo è ambientato) e ha conosciuto bene le chiese evangeliche delle piccole città dell’Arkansas. Poi si è trasferito a Chicago, iniziando a pubblicare molte buone cose, questo del 2011 è l’esordio letterario, poi pubblicato in Francia un paio d’anni fa (Prix Mystère de la critique 2016), ora finalmente in italiano, cui sono seguiti vari altri romanzi noir, racconti e saggi. La narrazione è tutta in prima persona, all’inizio e alla fine Paul, l’ampio corpo centrale Geoffrey, che si presenta come l’uomo peggiore del mondo. Il più cattivo risulta forse il massiccio sceriffo della contea, Timothy “Doolittle” Norris, guance rosse e capelli argentei, rieletto per il rotto della cuffia, parte essenziale di una specie di famiglia mafiosa (guidata dalla madre), che controlla varie attività criminali, dispensando pure marijuana e metamfetamine. Ma, del resto, “ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”, sottolinea Fratello Webb, citando addirittura Tolstoj. Rimarchevoli e meditabili le quattro essenziali verità della vita: la maggioranza delle persone vuole che tu dica loro quel che vogliono sentirsi dire; ci fidiamo soltanto delle persone che condividono i nostri pregiudizi; per il 99,9 % del mondo tu non esisti; il numero di persone a cui “importa” di te è direttamente proporzionale al bisogno che hanno di te. In effetti, conosco qualcuno che le conosce e le applica.
v.c.
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