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A cena con Darwin

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Jonathan Silvertown parte dalle fondamenta della dieta vegetariana per spiegare l’origine africana delle specie umane e di Homo sapiens

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 Copertina: A cena con Darwin

Autore:
Jonathan Silvertown

Traduzione:
Andrea Migliori
Titolo:
A cena con Darwin.

Cibo, bevande ed evoluzione 

Editore:

Bollati Boringhieri

Uscita 2018 (orig. 2017)

Pagine: Pag. 262
Genere: Scienza, Cucina

Prezzo: euro 25

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Deschi imbanditi. Da quando ci siamo, fin quando ci saremo. Darwin aveva ragione, se proprio volete invitare qualcuno a mangiare mettete lui a tavola con voi, vediamo cosa potrebbe dire sul cibo e su come lo preparate. La selezione naturale è un processo evolutivo graduale, cieco e privo di intenzioni e obiettivi: nasce dall’accumulo di variazioni ereditarie che, poco per volta, una generazione dopo l’altra, migliorano il funzionamento degli organismi, man mano che le varianti genetiche più adatte alle condizioni locali si moltiplicano a spese di quelle meno adatte. Più adatte qui e ora per come si è, non migliori in assoluto ovunque per ogni individuo. Noi e i nostri cibi passati e presenti siamo un prodotto di un’evoluzione parallela, tanto più che Homo sapiens ha aggiunto un processo sapiente di selezione artificiale (con discutibile impronta sugli ecosistemi) per produrre nuove varietà vegetali e animali, di cui (anche) cibarsi. Come noto, le uova si sono evolute prima delle galline, così nutrienti perché contengono tutto il cibo necessario per lo sviluppo del pulcino, protette da un guscio minerale “inventato” dai rettili per impedirne la disidratazione e per evitare l’azione funesta di batteri e funghi. Anche l’origine evolutiva dei semi (vegetali) risale a molto tempo fa, pare a circa 360 milioni di anni. Il latte è, invece, espressione di animali mammiferi in transizione da ovipari a vivipari. Siamo onnivori e ormai sono pochi i vincoli imposti alla nostra dieta dall’evoluzione: oggi siamo in grado di mangiare più di 4000 specie di piante (anche un tempo velenose e poco invitanti), comunque le specie umane hanno cominciato a cucinare molto prima che arrivassimo noi, soprattutto grazie al fuoco e all’accresciuto possibile consumo di carne. Per saperne di più basta leggere e impostare meglio il nostro desco quotidiano.

L’ecologo evoluzionistico e divulgatore scientifico Jonathan Silvertown (Londra, 1954) ha scritto un saggio splendido, per stile brillante e rigorosa profondità. Parte dalla dieta essenzialmente vegetariana degli ominini e dal precoce inizio di macellazioni, per narrare con dettaglio interdisciplinare l’origine africana delle specie umane e di Homo sapiens, un animale che presto usa il fuoco e cucina, iniziando a migrare da tutte le parti. Pare che le strade decisive per sopravvivere fossero costiere, dove un’alimentazione importante poteva essere garantita da frutti di mare. Ci dotammo anche di altri caratteri, soprattutto il linguaggio della parola, articolato e astratto. Cominciammo pure a lavorare gli alimenti, il pane è probabilmente il primo cibo lavorato (antecedente il Neolitico): i semi dei cereali vanno raccolti, trebbiati e vagliati per separare i chichi dalla pula, poi macinati in farina, mescolati e lasciati lievitare, cotti. Hanno bisogno di domesticazione, un rapporto che abbiamo esteso a molte specie vegetali e animali, utili a risiedere, sopravvivere cucinando, riprodursi. L’autore parte da un piatto (come la zuppa) o da una tipologia di alimenti (come il pesce) frequenti sui deschi contemporanei, per spiegare con quali sensi, da quando, perché, come e con quale diffusione li mangiamo: carne, verdure, spezie ed erbe aromatiche, dessert e dolci, formaggi, vino e birra. Il passato certo e probabile, i futuri possibili più o meno sani ed equilibrati. Non specifiche ricette enogastronomiche, ma la loro indispensabile premessa, consapevoli delle grandi diversità individuali, nel tempo e nello spazio, della nostra unitaria specie meticcia, abituata ovunque a condividere il cibo (un impulso innato della nostra psiche).

v.c.

 

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