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L’uccisione di Khashoggi potrà essere la causa di una crisi diplomatica che potrebbe innescare una serie di conseguenze in grado di modificare i fragili equilibri di tutto il Medio Oriente
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Se fosse ancora in vita, Jamal Ahmad Khashoggi avrebbe compiuto 60 anni lo scorso 13 ottobre. I condizionali sono d’obbligo in questa spy story che rischia di compromettere il cammino verso il potere assoluto di Mohammad bin Salman, l’uomo forte di Riyad, artefice di una “rivoluzione” che sta cambiando il volto ad una delle poche monarchie assolute ancora esistenti.
Di Khashoggi, editorialista del Washington Post e voce critica del nuovo corso imposto da MBS, non si hanno più notizie dallo scorso 2 ottobre, giorno in cui si era recato presso il consolato Saudita di Istanbul per espletare alcune pratiche relative al suo imminente matrimonio con la cittadina turca Hatice Cengiz, che lo attendeva fuori dalla sede diplomatica. Una sparizione che, secondo alcuni file audio e video fatti pervenire seppure in versione non integrale, ai principali media internazionali, sarebbe stata il preludio di una vera e propria esecuzione effettuata all’interno dello stesso consolato.
Nelle registrazioni si sentirebbero delle urla che dimostrerebbero le torture a cui il giornalista sarebbe stato sottoposto, prima di essere ucciso e fatto a pezzi da una squadra di sicari inviati da Riyad, che avrebbero poi “spedito” i resti del corpo sezionato nel Regno all’interno di valigie diplomatiche. Secondo le autorità di Ankara non ci sono dubbi sull’uccisione di Khashoggi, come ha dichiarato uno dei più stretti collaboratori del Presidente turco Erdogan, Yasin Aktay. Una ricostruzione smentita da Riyad, ma ritenuta verosimile dai principali paesi europei e del mondo arabo e soprattutto dagli Stati Uniti, il principale alleato della Monarchia Saudita. Una crisi diplomatica che potrebbe innescare una serie di conseguenze in grado di modificare i fragili equilibri di tutto il Medio Oriente.
La presidenza Trump infatti ha puntato le sue carte su Mohammad bin Salman, rifornendolo di armi di ultima generazione per fronteggiare l’avanzata geopolitica iraniana in Siria, Iraq e Libano. Un piano strategico che con la morte di Khashoggi potrebbe subire un drastico mutamento, come dimostra lo scongelamento avvenuto negli ultimi giorni, dei rapporti tra Washington ed Ankara, dopo anni d’incomprensioni, seguite al tentato golpe ai danni di Erdogan del luglio 2016.
Le tensioni in questa delicatissima regione del pianeta, infatti, non riguardano solo la storica acredine tra mondo musulmano sciita e sunnita, ma anche tra le due visioni all’interno di quest’ultimo. La prima, più ortodossa e filo occidentale, rappresentata dall’Arabia Saudita e la seconda legata alla Fratellanza Musulmana, sponsorizzata principalmente dalla Turchia e dal Qatar. Per questo “l’affaire” Khashoggi, nipote del più importante trafficante d’armi degli anni ‘80 Adnan Khashoggi e cugino di Dodi al Fayed, amante di Lady Diana e morto con lei in un incidente stradale avvenuto a Parigi nel 1997, potrebbe innescare una serie di conseguenze imprevedibili, in grado d’infiammare ulteriormente questa parte del mondo.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::2856::/cck::