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Si pianga sul latte versato

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Il doloroso gesto simbolico del latte versato dai pastori sardi, ha una portata storica che va certamente ben oltre la semplice protesta o la misera perdita materiale di quanto prodotto dagli animali e raccolto dai loro poveri custodi.

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Non intendo impegnare la tanto ambita attenzione del lettore, già aggredito da scritti di ogni sorta che attentano al suo interesse per il sapere, investendolo di continuo con messaggi e notizie, vere o false, buone o cattive, strumentali o meno, sino a mettere a dura prova i doni o doti primari del suo essere: la curiosità e la ragione.

Qualità che dopo essere state il fondamentale meccanismo propulsore del progredire dell’Uomo, permettendogli di sottomettere ai suoi desiderata ogni cosa o essere vivente al mondo – che Francesco “Jr” – mi perdoni la licenza – chiama “casa comune” –  ha ridotto il tutto in un cumulo di scorie, in buona parte non deperibili, quando non tossiche; qualità che se da un lato gli hanno permesso di fare incredibili scoperte, che hanno migliorato la sua vita sino a raddoppiarne la  durata, ha dall’altro cambiato le regole originarie poste a base della natura,  e che oggi minacciano la autodistruzione, sia della “casa comune” che dei suoi “inquilini”.

Dal loro canto gli scritti di ogni forma – brevi o lunghi, che siano tweet, articoli, telefilm, o libri – hanno attenuato la curiosità e la ragione, provocando l’apatia, quando non il rifiuto, di quegli “inquilini”, allontanandoli alla fin fine dal desiderio dell’apprendere e dalla conoscenza. E, ahi noi, anche dal capire, o meglio dall’accettare,  le uniche soluzioni che gli consentirebbero di evitare il disastro che l’attende.

Il doloroso gesto simbolico del latte versato dai pastori sardi, ha una portata storica che va certamente ben oltre la semplice protesta o la misera perdita materiale di quanto prodotto dagli animali e raccolto dai loro poveri custodi. Un gesto che ricorda l’ “Urlo di Munch”, con tanti contenuti nascosti, di cui urge prendere atto alla ricerca di soluzioni che vanno ben oltre la loro lotta.

Vanno al di là del volere di chi governa, o crede di governare, ogni diverso luogo del mondo – siano essi politici, finanzieri, banchieri, militari, magistrati, o che altro – ai quali il gioco è sfuggito di mano al di là del loro intendere o della loro innata attitudine ad approfittarne.

Il mondo sta cambiando e cambierà sempre più a una velocità incontrollabile. Quella che un amico di cui taccio il nome ha definito la trinità – in cui si riunirebbero in una unica funesta entità: finanza, valuta e mercato – sta mostrando tutta la sua evanescenza, al di la di ogni perversione sua propria.

La finanza creativa  e il mercato così detto libero, che sinora hanno contrabbandato la carta per valore, questo per valuta, e con l’insieme mosso il mercato, artatamente liberalizzato a fine di creare la ricchezza di pochi, ha già, con le crisi economiche ripetutesi nell’ultimo decennio, dimostrato tutta la sua inconsistenza e debolezza.

La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi inoltre ha raggiunto il limite massimo tollerabile, al punto che anche tra le più alte istituzioni bancarie si ritiene ormai che senza una ridistribuzione – a prescindere dai pur temibili pericoli insiti in assoluto nella protervia condanna alla povertà, alla fame e alla morte della maggioranza a degli abitanti della “casa comune”, non può che portare all’implosione della predetta ricchezza di carta. Che lo voglia, lo capisca, o no, chi la detiene.

Il mondo con gli inevitabili traumi tipici di ogni cambiamento si avvia irrimediabilmente verso un diverso assestamento. La consapevolezza che la natura è stata tradita e le antiche regole poste a fondamento della “casa comune” sono state violate sta maturando in ciascuno degli “inquilini” della “casa comune”, ricchi o poveri, belli o brutti, volenti o nolenti, sapienti o meno. Tutti stiamo prendendo atto che, malgrado gli innegabili progressi fatti e la positività della scienza, l’unica alternativa all’autodistruzione risiede nel porre un limite agli egoismi.

Abbiamo vissuto negli ultimi decenni, prima, all’abbattimento delle frontiere in nome del c.d. libero mercato, e non delle libertà o del riconoscimento dei diritti, poi, all’elevazione di muri, al rinascere dei nazionalismi, che sono divenuti addirittura sovranismi. Si è fatta molta confusione tra globalizzazione, internazionalizzazione, federalismo e localismo. Molti ne hanno approfittato facendo leva sulle difficoltà e i bisogni dei più che sono stati strumentalizzati da pochi marpioni.

La speranza risiede nel riconoscimento, nelle debite proporzioni e nel reciproco rispetto, della contemporanea esigenza di una difesa, sia della globalizzazione di alcune cose, come i diritti e le risorse che non possono essere negate a nessuno; sia del confederalismo, stante la necessità dei paesi caratterizzati da culture, affinità e interessi comuni di mettersi insieme  (com’è accaduto negli Stati Uniti prima, e in Europa dopo; e dovrà  concretizzarsi nel Merco-Sur, e potrà avvenire nei paesi dei diversi continenti; sia, del localismo, che non potrà mai comprimere, mettendo da parte ogni egoismo o ipotesi sovranista, il desiderio di chi è caratterizzato da un “insieme dei caratteri particolari che individuano una persona, una cosa, un luogo, distinguendolo dagli altri” che gli venga riconosciuta la propria identità. Un desiderio che è loro e di ciascuno; ed è patrimonio di tutti.

È necessario il rispetto di un unico interesse, soggettivo e comune, insieme; condiviso, se non perché lo si desidera, perché conviene. Il mio pensiero personale è sempre stato che il diritto all’uguaglianza fonda sul diritto alla diversità, nel reciproco rispetto. Il tema è ampio e non può essere affrontato senza rischiare di perdere l’attenzione del lettore di un articolo on line, ma mi auguro ci si possa tornare sopra più approfonditamente,  aprendo il dibattito su ogni singolo aspetto, a partire dal latte di pecora versato dai pastori sardi, da cosa c’è in  più nel loro prodotto che fa la differenza tra i 60 centesimi offerti loro dal mercato e i 40 centesimi in più richiesti per la sopravvivenza non solo loro, ma delle loro tradizioni, che sono anche nostre. Ovvero  patrimonio autentico dell’Umanità. Mi sovviene un vecchio proverbio cinese: la morte di ciascuno è una biblioteca che brucia.

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Un breve saluto a Gabriele La Porta, che ci ha lasciato il 19 u.s., dopo una dolorosa debolezza che mal si conciliava con il suo grande amore per la letteratura, il sociale, quell’incomprensibile che lui chiamava esoterismo, un sapere particolare di tante cose che sfuggivano ad altri; ha retto con professionalità per alcuni anni RAI 2 e RAI notte, non sempre con il sostegno dei vertici.

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Un saluto anche alla N.D. Marella Caracciolo Agnelli, per la vita spesa con onore, in silenzio, a mente dell’esempio del padre, il Principe Filippo, antifascista, partigiano e azionista; autore, testimone ed erede di una napoletanità e un’italianità da non dimenticare.

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