Abdelaziz Bouteflika, al potere dal 1999, ha deciso di scendere nuovamente in campo. Se dovesse vincere la sfida elettorale per lui si tratterebbe del quinto mandato presidenziale: un record per una delle poche democrazie del nord Africa.
Nonostante i tumulti che da giorni si susseguono nelle principali città algerine per scongiurare l’ennesima candidatura a Presidente, Abdelaziz Bouteflika, il vecchio uomo politico al potere dal 1999, ha deciso di scendere nuovamente in campo. Se dovesse vincere la sfida elettorale in programma il prossimo aprile, per lui si tratterebbe del quinto mandato presidenziale: un record per una delle poche democrazie del nord Africa, la cui situazione sociale è fortemente minata dal crollo del prezzo del petrolio, principale entrata economica nelle casse dello Stato.
Secondo le opposizioni, Bouteflika, colpito da un ictus nel 2013 che lo ha in parte paralizzato e, secondo fonti ben informate, fortemente pregiudicato le capacità cerebrali, sarebbe ormai una marionetta nelle mani dei veri uomini forti del paese, i militari ed i membri dei servizi di sicurezza che, dalla fine della decennale guerra civile terminata nel 2002 e costata la vita ad oltre 200mila persone, avrebbero ormai il controllo del potere.
Tra di loro spicca il triumvirato composto dal generale Gaia Salah, Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate, dal suo omologo Mohammed Medienne, al vertice del Servizio d’informazione nazionale algerino e da Athmane Tarthag, a capo del famigerato DDS, il dipartimento di sorveglianza e sicurezza, vero artefice della sconfitta degli integralisti del FIS che avevano vinto il primo turno delle elezioni del 1991 e poi annientati con un Golpe.
Nel caso di riconferma dell’ottantaduenne Presidente, cosa assai scontata visto che il candidato del principale partito d’opposizione Abderrazak Makri della formazione moderata islamista nota come Movimento Sociale per la Pace, ha deciso di boicottare le elezioni, saranno proprio queste tre figure a contendersi la leadership della Nazione.
Uno scenario osteggiato dall’ondata di proteste che da fine febbraio sta incendiando l’ex colonia francese e che è già costata la vita ad un manifestante ed ha portato al ferimento di altri 200. Nonostante il divieto di scendere in piazza infatti centinaia di migliaia di algerini hanno deciso di far sentire la propria voce, tra questi soprattutto giovanissimi, visto che il 70% della popolazione ha meno di trent’anni e versa in uno stato di estrema indigenza dovuto alla carenza di lavoro e alla conseguente mancanza di prospettive per il futuro.
I giovani chiedono riforme che siano in grado di rilanciare la sgangherata economia del paese, una più equa distribuzione della ricchezza e una maggiore trasparenza riguardo ai flussi di denaro che provengono dalla vendita di petrolio e gas naturale di cui l’Algeria è ricchissima. Dopo la Russia infatti il gigante del Maghreb è il secondo fornitore di gas della nostra penisola, rivestendo dunque un ruolo strategico non solo per il nord Africa ma per molti altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Per questo i leader dell’opposizione hanno chiesto alle nazioni interessate di monitorare quello che sta succedendo in vista delle prossime elezioni presidenziali.
Perché se anche l’Algeria venisse avvolta dal caos delle tensioni, le conseguenze si farebbero sentire in tutta la regione, mettendo a rischio la difficile transizione tunisina ed infiammando ulteriormente il conflitto libico. Uno scenario da brividi.