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Il paese dei veti incrociati

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Uno sguardo, anche non attento, alle vicende nazionali mostra un paese che, come si potrebbe dire in modo immaginifico, osserva il proprio ombelico senza rendersi conto del corpo che sta all’intorno. 

Uno sguardo, anche non attento, alle vicende nazionali mostra un paese che, come si potrebbe dire in modo immaginifico, osserva il proprio ombelico senza rendersi conto del corpo che sta all’intorno. Senza andare troppo indietro nel tempo e dopo i vent’anni e passa dedicati da una parte della politica ad eliminare anche per vie giudiziarie un avversario eletto a nemico, male incurabile (e che non molto ha fatto per stemperare questa opinione!) , ma con una visione dedicata al tempo che si separa e sembra incommensurabile dalla fine della seconda repubblica mai nata, alle prese come siamo con una terza versione che non ha ancora assunto connotati comprensibili, è sufficiente saggiare l’esistenza del governo gialloverde, quello del cambiamento, per intendersi, quello degli orizzonti felici con decrescite o meno. E di quello che gli sta attorno in termini anche di opposizioni più meno vivaci.

La prima cosa che ci viene davanti è una situazione di stallo – che in termini aeronautici preclude alla caduta e in termini nautici al galleggiamento – con i due partners dell’esecutivo tra Lega e 5Stelle intenti a prendere le misure dell’altro. Come questo si concili con gli alti proclami, con i disegni globali come la via della seta, non è dato sapere dato l’imperscrutabile velo che protegge agli occhi dei cittadini, l’agire dei governanti. In termini di cambiamento fondato sulla trasparenza, indubbiamente, non c’è che dire: un capolavoro!

Il nodo di fondo è nell’ascesa veloce in tutto il paese dei consensi alla Lega muscolare targata Salvini e nel contraltare di dirigenti di un movimento che nelle premesse non doveva avere dirigenti, non doveva essere mai un partito e che in nome dei sacri principi iscritti sulla piattaforma Rousseau, doveva trasformare l’Italia in un bengodi senza eguali nell’orbe terracqueo.

Nell’impatto con la realtà i leghisti hanno mostrato in modo anche discutibile di avere un disegno delle proprie ambizioni, i grillini hanno invece manifestato sempre più di avere propalato pulsioni senza che queste unendo i famosi puntini divenissero un disegno coerente. Il movimento sta subendo una torsione totale e innaturale, chiamato a governare sta perdendo non pezzi elettorali soltanto, ma la sua stessa capacità di indicare un percorso, una strada che non sia sempre criticata e bollata da qualche portavoce capetto di turno o dalla voce sempre più buffonesca del grande guru che a volte molti dirigenti e parlamentari saprebbero sicuramente dove inviare a non far danno.

Ma tant’è, lo scenario che abbiamo davanti è quello nel quale il braccio di ferro tra i due artefici del governo si sta trasformando sempre più in un gioco al ribasso per l’altro, in un batti e ribatti sui contenuti del famoso e sconosciuto contratto, in un gioco rischioso di veti incrociati fatti del classico motivo conduttore: noi ti garantiamo questo se tu rinunci a quell’altro, ti sosteniamo in aula se tu lasci perdere o diluisci la tua idea.

Quel che stupisce è che in questo gioco al massacro sulla pelle dei cittadini e dell’intero paese, la palma della primazia spetta senza mezzi termini ai 5Stelle. Cioè proprio coloro che sul vaffa e sul mai questo, mai quello, hanno costruito le loro fortune elettorali sino ad ora. Il vento sta cambiando però e i vecchi arnesi e le vecchie tattiche fanno acqua da tutte le parti come anche ritarda la trasformazione in un soggetto politico vero, ancorché non partito. E’ quello al quale assistiamo nel balletto sulle infrastrutture (la Tav caso da manuale) intrecciato con la questione migranti e i voti per sul cosiddetto caso Diciotti; sul reddito di cittadinanza chiesto al 50 per cento al Sud, come previsto e la flat tax sulla quale Di Maio tira il freno invocando quei soldi per trovare i quali in vista del reddito ha fatto carte false costringendo il ministro Tria a piroettare come un funambolo senza rete.

Sul governo per ora meglio fermarsi qui. Perché anche nel fronte delle opposizioni quel che accade non fa ben sperare. Partiamo dal Pd. La trazione Zingaretti nata tra peana inclusivi sta mostrando quasi subito la realtà: allargare e includere sì, ma soltanto verso Leu e la estrema sinistra. Come a dire ricercare il consenso nelle aree che furono del vecchio Pci. Come innovazione, dunque, siamo molto lontani considerando le praterie lasciate libere ad ogni altro vento politico. Una scelta che se porterà qualche risultato immediato, esempio alle Europee, quasi certamente mostrerà la corda in tema di alternativa di governo per il Paese.

C’è poi l’eterna promessa e l’eterna incompiuta del centro destra con Forza Italia costretta a un ruolo mediano tra Fratelli d’Italia sempre più sovranista e la Lega ancorata al governo. Un ruolo difficile dove il peso del leader Berlusconi, in assenza di una classe politica stabile e autorevole, sta minando anche le possibilità di un rinnovato interesse a livello elettorale. Trovarsi infatti di fronte ai leghisti in Parlamento su due sponde opposte e nello stesso tempo alleati nelle regioni o negli enti locali, non è condizione di facile soluzione. Il centro destra resta maggioritario alle urne ma diviso sul fronte politico e questo rischia di usurarne l’atout tuttora presente.

Anche in queste aree, dunque, il vizio dei veti incrociati mantiene intatto il suo significato, a scapito di un paese che avrebbe bisogno di vera unità e solidarietà sociale. Tenendo presente che i vecchi schemi non funzionano più soprattutto nelle generazioni più giovani per i quali quelle categorie politiche sono anticaglia e roba da museo! 

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