Editoriale

Il nuovo mondo

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L’Uomo, il globalismo, il confederalismo e il localismo

Ciascuno di noi, inclusi i disgraziati provenienti da terre lontane e che tanto preoccupano l’occidente, è oggi innegabilmente cittadino del mondo. Piaccia o no.

Negli ultimi secoli l’uomo ha vissuto un’epoca di cambiamenti sostanziali, sia da un punto vista soggettivo, che oggettivo.

Contestualmente al cambiamento dell’habitat in cui si muove, sta mutando la sua natura; con velocità tale da non consentirgli di stare al passo con l’evoluzione, la propria.

Ne consegue che l’essere umano, a dispetto delle enormi conquiste della scienza, stenta a trovare il giusto equilibrio tra sé, gli altri, l’ambiente.

Alla base del vivere civile e condiviso che tutela singoli, collettività, territori, ci sono quelle regole che nel tempo hanno portato a costruire il sistema di diritti e doveri su cui fonda la democrazia.

La sfera individuale, collettiva e sociale dell’uomo, con riferimento sia all’essere in quanto tale che al suo ambiente, il mondo nuovo, meriterebbero ciascuna un approfondimento.

Ci soffermiamo per il momento sull’ultima, l’attuale “nuovo mondo” e le regole di cui avrebbe bisogno, riservandoci di affrontare in futuro gli altri argomenti.

È pacifico che sono cambiati i mezzi di comunicazione e di trasporto con cui l’uomo attualmente comunica e si muove. Mutamenti che hanno influito su di lui facendone un individuo più veloce e meno libero, un essere che senza gli strumenti che ne espandono le capacità, finisce col risultare limitato; e, in prospettiva, in base alle regole dell’epigenetica, totalmente diverso.

E se alla base della convivenza civile ci sono delle regole, alias leggi, che fissano i diritti e i doveri dei singoli, è inevitabile che queste vadano adeguate; possibilmente in senso evolutivo, ovvero in meglio.

Purtroppo non è sempre così.

Assistiamo sempre più infatti a pesanti contrasti interni ai diversi Stati in tema di localismo, sovranismo, confederalismo e globalismo.

Le regole in vigore non soddisfano più le diverse aspettative della gente.

La parola “globalismo” è stata mistificata e le viene attribuito un significato, uno scopo, esclusivamente economico; ovvero la si usa principalmente con riferimento al mercato e alla finanza, senza considerarla nelle sue accezioni migliori, quali il “globalismo ambientale”, quello “climatico”, “sanitario”, e così via.

Per non parlare del “globalismo giuridico” che è stato totalmente abbandonato. Un concetto ereditato dalla filosofia cosmopolitica greca e che si ritrova anche nelle altre culture mediterranee, inclusa la romana; che è stato ripreso da illuministi quali Christian Wolff, che ipotizzava una “comunità universale degli uomini”, o Immanuel Kant, che auspicava una “lega dei popoli” e un “ordinamento giuridico globale” o “diritto cosmopolitico” (Weltbürgerrecht) che garantisse la pace universale. E sviluppato dai c.d. “globalisti occidentali” (western globalists), come Richard Falk, David Held e Antony Giddens che auspicavano una diffusione globale dei diritti umani mediante un “costituzionalismo globale” o “cosmopolitismo democratico”, ed erano certi che attraverso processi di integrazione globale sarebbe stata raggiunta una progressiva diminuzione della sovranità degli Stati e una riforma delle istituzioni internazionali; una ristrutturazione “globalista” dell’ONU che portasse a un ordinamento giuridico mondiale in grado di garantire la pace e la giustizia per tutti i popoli.

Già nel 1930, quando il mondo era sull’orlo del precipizio che l’avrebbe di lì a poco portato al conflitto mondiale, e i paesi erano in balia dell’autarchia e del protezionismo, Rabindranath Tagore, poetadrammaturgo, e filosofo bengalese,  scriveva “Le razze dell’umanità non potranno mai più tornare ad arroccarsi nell’esclusività delle loro cittadelle fortificate. Esse sono ormai a stretto contatto l’una con l’altra, fisicamente e intellettualmente. Le strutture in cui si sono rinchiuse per lungo tempo, e che le hanno tutelate garantendone l’assoluta sicurezza sono ormai crollate, e nessun processo artificiale potrà mai rabberciarle. È un dato di fatto che dobbiamo accettare, benché non abbiamo ancora pienamente adattato la nostra mente a un tale cambiamento ambientale, e malgrado tramite questo potremmo trovarci ad affrontare tutti i rischi implicati in un ulteriore ampliamento del nostro campo d’azione e della nostra libertà”.

Parole che sono dovute passare attraverso conflitti mondiali e sofferenze enormi, per far breccia e aprire la strada all’idea della pace e della democrazia come beni irrinunciabili, conquiste del genere umano.

Messe nuovamente in discussione.

Negli ultimi anni le parole “democrazia”, “libertà”, “globalizzazione” sono state abusate e mistificate; abbinate a “finanza”, “economia”, “mercato” sono state stravolte dal loro significato originario. Perdendo ogni nobiltà.

Le forze economiche conservatrici, che pure le avevano in odio, se ne sono appropriate e ne hanno strumentalizzato il richiamo seduttivo a proprio vantaggio, a sostegno di ideologie nostalgiche e localismi antiquati, facendo assumere loro un significato, non solo fuorviato e fuorviante, ma addirittura “perverso”, inteso come ostile a ogni forma di innovazione, progresso o sviluppo.

Il libero mercato è stato spacciato per libertà e globalismo; il sovranismo per localismo e difesa identitaria.

Le diverse posizioni sono state politicizzate e a ciascuna è stata attribuita l’appartenenza a questa o quella ideologia.

Il che ha motivato l’opposizione di una parte all’altra, a prescindere dalla ragione o dal torto, per soddisfare la propria esigenza di trionfare nel contradittorio, anche a dispetto di obiettività e realtà.

Si è perso di vista che il mondo futuro (o “nuovo”) è inevitabilmente proteso verso tre dimensioni contemporanee e che tutte e tre hanno, a dispetto di ogni “ismo”, il diritto e il dovere di esistere: localismo, confederalismo e globalismo. Il primo, in difesa delle origini e della identità di ciascun popolo e di ogni paese; il secondo per consentire ai popoli e ai paesi uniti da interessi materiali e possibilmente da affinità elettive, di unirsi per confrontarsi meglio con gli interlocutori in un mondo sempre più globale. Il terzo, in difesa di quegli interessi universali quali ambiente, salute, pace, libertà, giustizia, quanto mai indispensabili a un mondo che per molti versi, non ha più confini. Norberto Bobbio, in nome del “globalismo giuridico”, auspicava una unificazione politica e giuridica del pianeta che chiamava “pacifismo giuridico”.

Oggi è giusto pensare ad un “globalismo etico” che conviva con il localismo ed il confederalismo.

Dimensioni ciascuna delle quali ha diritto di asilo nel mondo che ci attende; a prescindere da ogni strumentalizzazione politica, ideologica o di parte.
L’identità localista, l’esigenza confederale, la realtà globale, non hanno ragione di essere contrapposte l’una all’altra; esse rispondono a esigenze legittime, che proprio perché diverse, possono benissimo coesistere in una prospettiva etica condivisa e comune. 

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