Esteri

Colombia, la tragedia, atto II

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La tragedia annunciata avanza inesorabilmente e nei giorni scorsi è passata al secondo atto. La Colombia, il magnifico paese delle Ande, dall’arrivo dei “conquistadores” spagnoli in poi non ha più avuto pace. Osservando solamente i principali avvenimenti degli ultimi cento anni, vediamo come la violenza, in unione paradossale con la saggezza indigena, il ballo, l’allegria e il canto, sia una costante nella vita del paese. In questo territorio pieno di miti e di leggende, alcune delle quali riguardano l’origine stessa della civiltà, una sorta di Eden americano, ci sono stati massacri, genocidi, stragi e decimazioni di tribù indigene. Interi partiti politici sono praticamente scomparsi. I rappresentanti politici e sindacali più influenti e carismatici avversi al sistema sono stati sistematicamente eliminati o uccisi. Senza contare la guerra fratricida tra liberali rossi e conservatori azzurri.

L’ultimo conflitto, denominato “la violencia“, era iniziato nel 1948 con l’assassinio del candidato alla presidenza Jorge Eliécer Gaitán, liberale e rivoluzionario allo stesso tempo, e si era stabilizzato nel 1958 con l’accordo di governo tra i conservatori e i liberali, detto “Frente Nacional”, fino al 1966 quando vennero riprese le ostilità tra la “guerrilla FARC” e il governo, che trovarono una soluzione solo dopo cinquanta anni,  con l’accordo di pace tra l’ex-presidente Juan Manuel Santos, premio Nobel nel 2016. Un negoziato al quale hanno contribuito gli indigeni, con le loro cerimonie ancestrali, Obama e papa Francesco. Al culmine di un periodo in cui nella maggioranza dei paesi latino-americani era arrivata un po’ di democrazia. In Cile, dopo la caduta di Pinochet, si alternavano al potere la destra e la sinistra. Idem, in Argentina, in Brasile, in Ecuador, in Uruguay, in Bolivia, in Messico.Salvo che in Colombia dove non si è mai avuto un presidente di sinistra ed ha governato sempre una oligarchia di estrema destra con vedute ristrette, che, come una piovra, ha strangolato il paese coi tentacoli del narcotraffico.

L’ex-presidente Juan Manuel Santos, pur appartenendo alla classe dirigente colombiana, ha cercato di fare uscire il paese da questa gabbia per portare il paese alla pace, a mente anche della sua educazione inglese. Egli si é scontrato continuamente durante il suo governo con Alvaro Uribe Velez, ex-presidente della Colombia dal 2002 al 2010, che, secondo un rapporto della Direzione Investigativa Antidroga americana del 1990 pag. 10 e 11 (Fonte Wikipedia) era un ex-alleato di Pablo Escobar. Sfortunatamente l’attuale presidente Ivan Duque, un “titere“, come lo chiamano in Colombia, un burattino, i cui fili sono manovrati da Uribe, ha vinto le elezioni nel 2018 . Da allora, seguendo le direttive di Uribe, sempre orientate verso la guerra, necessaria per il narcotraffico, ha sabotato sistematicamente gli accordi di pace, ha permesso l’assassinio di indigeni, leader sociali, ambientalisti, fomentando un aumento costante della tensione nel paese. Fino ad arrivare alla situazione attuale. Duque ha voluto imporre al popolo già affamato a causa della pessima gestione della pandemia, una riforma tributaria, che ha aumentato l’IVA sui beni di prima necessità. Il popolo, esasperato da una legge iniqua, è sceso in piazza ed è uscito dai quartieri poveri e dai ghetti della periferia alla conquista delle città: a Cali, Bogotá, Medellin, ecc…, sono state abbattute dagli indigeni le statue dei “conquistadores” spagnoli.

La repressione non si è fatta attendere ed è stata spietata. L’esercito e la polizia hanno fatto fuoco e ucciso decine di persone.  Centinaia di protestanti sono scomparsi o sono stati feriti. Vi sono stati casi di violenza fisica e tortura. E il mondo e le organizzazioni internazionali stanno a guardare.

Ma, come avverte lo scrittore William Ospina in un recentissimo video del quotidiano EL ESPECTADOR, se la violenza di stato, non cessa, non cadranno solo le statue.

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