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I Cinquestelle alle prese con la più grave crisi della loro storia

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Il quadro politico del nostro paese si muove ma coglierne i percorsi è tutt’altro che semplice. Nell’ordine assistiamo alla crisi di identità (ndr vds. la “parola della settimana) e alla crisi tout court del movimento cinquestelle che mostra di non sapere che cosa sia e cosa debba essere, pur essendo ancora il primo gruppo in Parlamento. Questa divaricazione tra un mondo in crisi profonda e il suo elettorato è evidente e i coup de teatre del fondatore, nonché “elevato” o altro, non fanno che far capire come nulla sia stato fatto in questi anni per formare e costruire una leva di amministratori e di politici capaci di affrontare le avversità. Perché? Perché basta il nutum del fondatore, un suo tweet, un suo “strillaccio” perché tutti si mettano nelle seconde file in sicurezza e chi prova a parlare lo fa come se si trovasse dinanzi al suo prossimo fustigatore.

Così tra le strilla dell’“elevato” e il balbettio del contorno nessuno riesce a capire che cosa nel prossimo futuro voglia essere il movimento, che pure è stato capace di interessare un terzo almeno degli italiani e divenire in Parlamento la prima forza numerica; con ciò condizionando si il primo governo Conte, che il secondo, che, in parte, ipotecando anche quello di Draghi; mentre lo sfascio interno al gruppo dirigente e la difficoltà di sintesi appaiono evidenti. L’unica sintesi è quella di chi non ammette che alcuno insidi il proprio ruolo di padre padrone e soprattutto che possa mettere in discussione la sua “visione” del futuro. E questo anche se chiaramente tale visione si stia trasformando in un incubo.

La sorte che attende il movimento, nella sua posizione di governo centrale e locale, alla conclusione anche parziale della crisi ormai endemica, non è secondaria per il paese e per i suoi equilibri. I sondaggi parlano di un ridimensionamento drastico della presenza parlamentare e nel paese del movimento; una strada in salita che l’“elevato” non aiuta a percorrere con le sue intemerate uscite che hanno appena sbarrato la strada all’unico esponente, non grillino doc, ma vicino al movimento, che è stato per ventura in condizione di stare al governo per quasi tre anni. Il modo in cui è stato trattato e le parole usate rivelano che nulla può muoversi nel “movimento”, si perdoni la ripetizione, se il fondatore non dice la sua e che se un pezzo di strada viene fatto senza il suo placet – perché impegnato in serie questioni di famiglia – di tutto questo gli autori devono rispondere davanti al suo tribunale supremo, quasi che egli sia l’unica voce autorevole che può esprimersi su tutto e su tutti. E questa situazione mostra come l’originalità dei cinquestelle sia pari a quella di Forza Italia dove dirigenti, gregari, esponenti locali possono parlare quanto vogliono, ma poi la “parola” può venire solo dall’ex cavaliere. Insomma, una vera e tragica farsa interpretata da un comico che sempre meno comico si rivela una maschera tragica della propria stessa incompiuta!

Perché tutto questo non può essere visto con superficialità? Perché ad essere imbrigliati in questa crisi sono tutti gli altri attori politici e quindi l’intero paese deve capire cosa succede. E il tempo verso il Quirinale e le elezioni politiche è sempre più stretto.

I primi a cadere nella contraddizione sono stati i democratici del Pd. Sotto diverse direzioni politiche succedutesi dai tempi di Bersani, si è tentato di far tornare il busillis per il quale senza alcun dubbio il movimento essendo di sinistra doveva naturalmente avere con il Pd un rapporto privilegiato. Assioma pericoloso e senza alcun fondamento logico. Se è vero che i pentastellati come cittadini sostenitori dell’“uno vale uno”, non possono per definizione essere identificati come di sinistra o di destra o di qualsiasi altra direzione spaziale. Ecco perché la crisi del movimento rischia di essere una scommessa rischiosissima e forse persa in partenza per il Pd, che potrebbe pagare anche in termini di consenso l’appiattirsi sui seguaci dell’“elevato” come se fossero di famiglia. Così non è, e basterebbe a risvegliare qualche capacità critica, il trattamento che riservarono proprio a Bersani che candidamente pensava di parlare con persone affidabili e autonome nelle scelte. Quindi allerta rossa, per così dire, per il partito, ma anche per il paese intero.

Non risulta semplice neppure per il centrodestra decrittare quanto potrà accadere – movimento spaccato, movimento finito, truppe in fuga e via dicendo – perché al di là della fascinazione del Pd, molta parte degli elettori e dei rappresentanti cinquestelle vengono anche dall’area di destra moderata, populista o meno. La non identificabilità conseguente costituisce un grave rischio perché è connaturato al movimento, che l’“elevato” sembra voler ricondurre al “vaffa”, il fatto di dare di sé ogni immagine possibile ma “diversa” da quella che gli interlocutori pensano di aver compreso. In sostanza il fatto di essere populisti per definizione è l’unica azzeccata, ma da essa non deriva la chiarezza se di destra o di sinistra. Quindi anche per chi nel centrodestra pensa o di imbrigliare o di “lucrare” politicamente sulla rotta del movimento potrebbe sbagliare i conti.

In sostanza, la crisi pentastellata che allo stato attuale sembra un affare privato tra il fondatore imbizzarrito e i suoi seguaci non più tanto tali, è una mina vagante per l’intero panorama politico del paese in un momento storico cruciale dove la direzione politica, economica e sociale deve essere salda e senza sbavature. È sperabile che qualche chiarezza di fondo possa apparirci pur nella calura incombente e al netto delle erinniche reazioni di qualcuno. 

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