Correva l’anno 1987. L’Italia, grazie al connubio tra pubblico e privato, era divenuta la quinta potenza economica mondiale. Esclusa ovviamente l’Unione Sovietica, dove però Gorby aveva già avviato la perestrojka e tesseva la sua rete di alleanze che due anni dopo porterà alla caduta del muro di Berlino.
Era estate ed ero in Sardegna, ma la bellezza del luogo, il mare e il bel tempo non sedavano la mia ansia, da un lato liberal, dall’altro cattolica, ispirata ai valori di “giustizia e libertà” che mi aveva trasmesso mio padre.
Pur sconcertato per ciò che era accaduto negli anni precedenti, mantenevo viva in me la speranza in una società che contemperasse il diritto di uguaglianza con quello alla diversità, sempre alla ricerca di punti di forza che, al di là di ogni negatività, potessero sorreggere l’idea positiva di una società giusta, oltre le divisioni, le distanze e i confini; alla ricerca di qualcosa, qualcuno su cui fare affidamento per la difesa dei valori condivisi. L’italianità e gli italiani. Così nacque ITALIANI.
Ferma nella mente l’iscrizione avevo letto sul “palazzo dei congressi” ogni mattina andando a scuola: gli italiani, “un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”. Ancora più fermo quanto avevo inteso dopo: che questo popolo non esisteva solo nella storia, ma anche nella realtà, nei circa 57 milioni italiani che erano in patria e negli almeno altrettanti all’estero; senza tener conto degli oriundi, talmente tanti da non poterli contare. E che, con orgoglio e senza vergogna, per trasmigratori si intendeva emigrati.
Una lunghissima storia, non solo di fasti e di successi, ma anche di sacrifici, di sofferenze e di risultati. Una storia di uomini e donne intraprendenti che avevano trovato altrove quel benessere che la patria nel tempo non era stata in grado di garantire loro. Uomini e donne che, grazie all’opportunità offerte da paesi ospitanti, erano cittadini del paese che li aveva accolti, e che, anche quando avevano mantenuto la “doppia cittadinanza”, erano in realtà cittadini di altri paesi. Eppure, sempre italiani nel cuore. Italiani, in Italia o all’estero, tutti portatori di un unico bagaglio di tradizioni e di valori condivisi e condivisibili che li accomunava. Uniti dal carattere, fatto di entusiasmo, umorismo, rispetto, ospitalità, ma soprattutto dai valori, quali l’amore, la giustizia, la famiglia, la correttezza, l’onestà, la trasparenza, la competenza.
Valori imprescindibili su cui far leva per la costruzione, dove che fosse, di una società migliore. Di questo discutevo con Pierguido Cavallina per convincerlo ad accompagnarmi quale direttore responsabile nell’avventura di ITALIANI. Così nacque il mensile di informazione distribuito nelle principali edicole del mondo, e in particolare di quei paesi dove la presenza degli italiani, o oriundi tali, era più significativa. Una rivista di ampio respiro dedicata all’italianità nella sua accezione più estesa, dalla tradizione all’attualità. Al proprio interno un “sedicesimo” dedicato a RAI International e uno a turno a ogni regione; gli altri, dedicati alla politica, l’economia, la scienza, il “Made in Italy”, la cultura, l’arte, il costume, le tradizioni, la cucina lo sport, la moda, lo spettacolo.
Una porta aperta non solo alle comunità italiane, ma anche ai tantissimi stranieri innamorati dell’Italia, il Bel Paese.