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Il lavoro scientifico degli esperti riuniti dalla Fondazione Italiani all’ESA ai primi di maggio è stato indubbiamente di grande rilievo. Così come il loro appello partecipato al pubblico, il “call for action” diffuso da Roberto Savio, e il “claim” lanciato dalla nostra rivista.
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Il lavoro scientifico degli esperti riuniti dalla Fondazione Italiani all’ESA ai primi di maggio è stato indubbiamente di grande rilievo. Così come il loro appello partecipato al pubblico, il “call for action” diffuso da Roberto Savio, e il “claim” lanciato dalla nostra rivista.
Il messaggio è chiaro: se finora sulla questione “clima” il dibattito si è svolto tra politici, gruppi di potere interessati, esperti e addetti ai lavori, ora la parola spetta ai cittadini, che hanno il diritto e il dovere di fare qualcosa.
Ci sono voluti più di venti anni per arrivare al COP 21 di Parigi e perché 171 Stati capissero che il mondo era avviato alla autodistruzione. Poi la ratifica di New York e la conferma del COP 22; ma abbiamo sempre saputo che non era sufficiente; che avremmo dovuto fare qualcosa di concreto.
Ed ora ci troviamo di nuovo al cospetto di persone che negano l’evidenza: i “negazionisti”. Ve ne sono di tre tipi: quelli assoluti, quelli relativi, e quelli che sostengono che il problema esiste ma che non si possa far niente perché ci sono problemi che hanno la precedenza.
Nessuno fa niente e quel che è triste è che – sympiosum, call, e claim a parte – stiamo andando avanti così; verso il baratro.
Un pensiero nasce spontaneo: le leggi e i metodi abituali non possono risolvere i problemi né soddisfare necessità indispensabili per la nostra sopravvivenza; come genere e come individui; la pace, la salute, la giustizia, la partecipazione ai beni comuni, l’ambiente, e il clima appunto.
Il motivo sembra risiedere in alcune verità collaterali, in “fattori convergenti”; l’insieme di elementi impalpabili, coesistenti, diversi l’uno dall’altro, che il nostro inappagabile anelito di democrazia ha partorito nel tempo; fattori con valide seppur contraddittorie ragioni, che, grazie a quello che i giuristi chiamano il “combinato disposto”, determinano l’indebolimento della stessa democrazia e la lesione deidiritti dell’uomo.
E non solo in merito ad ambiente o clima.
Leggi che, in “combinato disposto” tra loro, nell’assolvere la funzione per la quale sono state emanate, finiscono con il confliggere con il sentimento comune.
In tutti i Paesi democratici del mondo – degli altri è meglio non parlare – si sta verificando una involontaria lesione dei diritti fondamentali dell’uomo e un indebolimento della democrazia.
La lesione del diritto di voto nuoce a quello della rappresentanza parlamentare; questo a quello legislativo; il legislativo nuoce al diritto alla giustizia; questo lede i diritti dell’uomo; e così via.
Il diritto di voto, ad esempio, a prescindere dai condizionamenti mediatici di cui siamo vittime, è ormai afflitto dal sempre maggiore astensionismo che determina in ogni Paese il governo delle minoranze; però è così vengono eletti parlamenti e governi, ai quali è poi affidato rispettivamente il compito di legiferare e governare.
Eppure, quanto all’attività legislativa, sappiamo che molti deputati e senatori votano leggi di cui non conoscono il testo; limitandosi, nella migliore delle ipotesi, a uniformarsi alle indicazioni di partito; e non perché non vogliano, ma perché non possono per mole e complessità di testi in quanto, a prescindere dalle loro capacità, gli è materialmente impossibile leggere tutto.
Tuttavia è in base a queste leggi che viene fatta giustizia; giustizia che è di per sé afflitta da una quantità di cause e una miriade di atti che la rende anch’essa impossibile; i magistrati infatti non hanno materialmente la possibilità di leggere tutti i documenti; e anche loro non perché non vogliano, ma perché non possono, col rischio che finiscano col giudicare senza leggere.
La nostra società civile, a causa di “fattori convergenti”, è caduta negli ultimi anni in una fase involutiva.
Ma torniamo al clima; dobbiamo prendere atto di una concreta resistenza alla sua salvaguardia da parte di tutti i governi; non solo dei governi “negazionisti”, ma anche diquelli che dicono di voler fare qualcosa, ma di non poterla fare. Governi che, pur non adottando i provvedimenti necessari, si auto-assolvono adducendo a propria discolpa la cronica difficoltà a far quadrare i conti e la scelta di non sottrarre risorse a esigenze sociali più immediate.
In tal modo vengono negati i diritti umani più elementari, da quello alla libertà a quello alla vita; e ancora alla salute, a un’esistenza dignitosa, alla autodeterminazione, all’istruzione, al lavoro, alla giustizia, alla libertà religiosa, al voto; diritti che pur essendo riconosciuti da tutti in linea di principio come inviolabili vengono di fatto gradualmente sempre più indeboliti.
Per uscire da questo impasse il cittadino ha il diritto di promuovere iniziative in grado di indirizzare, meglio ancora condizionare, l’azione di governo e le scelte dei responsabili di produzione, mercato ed economia.
Quali sono i rimedi a cui ricorrere per cercare di far rispettare le norme tecniche e giuridiche a tutela dell’ambiente e, conseguentemente, della salute?
Il diritto alla salute è riconosciuto in ogni Stato; quindi non ne è negata la tutela davanti agli organi deputati alla giustizia.
Ma il singolo cittadino, pur avendone facoltà, non può da solo sopportare gli oneri di un processo simile con avversari troppo forti per lui, dotati di mezzi di cui il singolo non può disporre; sarebbe una lotta impari.
Occorre pertanto che il cittadino si riunisca collettivamente in “gruppi di azione” che abbiano come fine iniziative volte a garantire il benessere della collettività.
L’esigenza di legittimare “gruppi di azione” è stata avvertita in quasi tutti i Paesi, e, con molta fatica, si è giunti a creare lo strumento comunemente noto come “class action” onde evitare che il contenzioso di massa finisca per tradursi, incongruamente, in una molteplicità di azioni individuali.
Occorre allora che organismi come il “comitato internazionale” di Roberto Savio, o fondazioni a scopo benefico quale la “Fondazione Italiani”, assumano iniziative in tal senso.
Ma suggerirei anche, prima ancora di promuovere azioni giudiziarie tradizionali davanti ai Tribunali di Stato, di tentare la strada della mediazione e della conciliazione per arrivare a transazioni collettive.
In tal caso occorre compiere un passo in avanti nello studio del fenomeno della tutela collettiva; infatti, accettata – a volte con difficoltà – da molte legislazioni l’esistenza dei processi collettivi, si deve ora procedere nella direzione di articolare sistemi che consentano di giungere a una soluzione alternativa delle controversie collettive, una alternative collective dispute resolution.
In proposito esistono organismi che hanno lo scopo di amministrare mediazioni e procedure di conciliazione attraverso le loro sedi sparse in tutto il mondo, quali la Camera Internazionale dell’Arbitrato della Mediazione e della Conciliazione, AMC, che, anche per quanto osservato in tema di giustizia, si prefigge di prevenire il ricorso ai Tribunali di Stato attraverso procedure mediatorie semplici e rapide.
Ci si augura che i cittadini aderiscano a tali iniziative con l’ausilio non solo degli esperti ma anche di addetti ai lavori, quali giuristi.
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::autore_::di Angelo R. Schiano::/autore_:: ::cck::2009::/cck::