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La migrazione in Europa potrebbe essere vista come una ricchezza di integrazione, di rapporti culturali ed anche di lavoro, in quanto il Continente invecchia e occorrono forze nuove per mandarlo avanti, mentre l’Africa è un bacino per ora inesauribile.
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Fin dai primi giorni della sua elezione al soglio pontificio, Jorge Mario Bergoglio ha fatto del problema dei migranti una vera bandiera ideologica, una specie di dottrina dell’accoglienza e della misericordia arrivando a dire che chi non accoglie il “fratello” che scappa dalla propria terra per guerre, torture, persecuzione, ma anche per dare un futuro migliore ai propri figli non può dirsi cristiano.
Parole che prese come intenti generici possono trovare tutti d’accordo, ma è nella specificità del problema, quando si analizzano le cose nel concreto che sorgono i problemi.
Un esempio di dove può arrivare questa ideologia lo troviamo nella dichiarazione del Segretario di stato Vaticano, il card. Pietro Parolin, il braccio destro del papa, ai microfoni di Rai News, in merito alla firma di approvazione sottoscritto dalla Chiesa per il Global Compact lo scorso 13 dicembre: “Poter migrare – afferma il presule – è un diritto mentre per gli Stati non c’è il diritto di non accogliere”.
Un assurdo giuridico e morale perché quale giustizia sarebbe mai quella dove i diritti sono solo da una parte?
Parafrasando allora il Metastasio, potremo dire: “Voce dal sen fuggita”, perché di fatto un concetto del genere distruggerebbe la sovranità di uno Stato il quale, se non può controllare le sue frontiere, non avrebbe neanche il riconoscimento internazionale e come tale è destinato a subire qualsiasi migrazione di massa e non solo.
In realtà questo esodo viene visto in alcuni ambienti occidentali, specialmente europei, come una ricchezza di integrazione, di rapporti culturali ed anche di lavoro e quest’ultimo diventa un fattore sempre più importante perché il Continente invecchia e, dunque, occorrono forze nuove per mandarlo avanti anche se sottopagati o peggio abbandonati a se stessi e l’Africa, purtroppo, è un bacino per ora inesauribile.
Come diceva un mio amico sacerdote della Costa d’Avorio: “L’Europa prima ci depreda delle nostre ricchezze naturali ed ora anche dei giovani, l’unica ricchezza del nostro futuro”.
Una voce dolorosa di chi conosce la realtà della propria terra come i tanti vescovi dei territori subsahariani da dove parte la maggioranza dei migranti che da anni con lettere ufficiali, visite apostoliche, incontri con le varie conferenze episcopali internazionali, per non parlare dei numerosi appelli alla Santa Sede cercano di spiegare il dramma che si sta creando in Africa con questo flusso di partenze.
Ma nessuno, neanche la grande stampa o le varie organizzazioni umanitarie, così pronte a dire la loro su cosa serve all’Africa sembrano accorgersene di questi appelli. Molte, anche se ignorate, sono state le iniziative sia di religiosi che di laici locali per scoraggiare la migrazione che per questi popoli è un ulteriore fonte di povertà.
Lo scorso novembre la Conferenza episcopale ghanese si è riunita nella città di Techiman, nella parte centrale della nazione dove è più sentito questo problema.
Il documento prende atto con profondo dolore che:” Siamo rattristati dalla sfortunata perdita di vite nel deserto e nel Mar Mediterraneo di giovani uomini e donne che si imbarcano in questi perigliosi viaggi. Condividiamo le ansie delle famiglie che hanno perso i contatti con i loro parenti, che sono partiti per questi viaggi e pregano per il loro ritorno sicuro – e prosegue – Come parte del nostro impegno a ridurre al minimo l’alto livello di migrazione in questa parte del nostro paese, abbiamo incaricato la Caritas Ghana, la nostra organizzazione di sviluppo e soccorso, di dare priorità alle azioni per affrontare questa minaccia nella regione di Brong Ahafo e nell’intero paese”.
La risposta della Caritas locale non si è fatta attendere e attraverso il suo direttore Samuel Zan Akologo che ha definito: “la situazione una vera calamità”, un fenomeno ormai fuori controllo come riconosce l’organizzazione internazionale OIM, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Solo gli ultimi quattro anni il Ghana, su una popolazione di 27 milioni di abitanti, ha visto migrare 400.000 persone e di questi 15.000 hanno perso la vita.
Di fronte a questa situazione i vescovi locali hanno preso un pubblico impegno per diminuire le migrazioni, sollecitando anche il governo a intervenire per “ridurre la disoccupazione giovanile, lanciando due nuovi programmi: investimenti di forte impatto sociale e iniziative per le imprese sociali”.
Ormai nei villaggi, ma anche nelle grandi città, c’è una vera fuga di massa verso un presunto benessere, ma solo lo scorso anno però per cinquemila persone questo sogno è svanito; sono state infatti rimpatriate dall’Europa e in parte dagli Stati Uniti riportando con se solo uno strascico di delusione e di amarezza verso un Eden occidentale che non esiste.
Una situazione che aggrava la povertà africana, ormai endemica, con l’abbandono delle famiglie e dei lavori agricoli, la maggiore fonte di guadagno, lasciando solo donne, vecchi e bambini una situazione spesso drammatica che produce un ulteriore impoverimento della nazione togliendo nuove energie per un vero sviluppo.
Con questi ragazzi come afferma un documento africano, se ne parte insieme a loro anche la meglio gioventù, quella che può dare una speranza per il futuro.
Chissà se questi documenti sono stati mai letti dal Papa o da Parolin prima di parlare di migrazione, purtroppo non ne siamo sicuri viste le rispettive prese di posizione sul tema.
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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::2967::/cck::