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L’epopea delle distrazioni di massa

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Una doverosa premessa in questi giorni di memoria che ci porta ad una riflessione sull’oggi, sul panorama del nostro vivere e sul modo nel quale la politica, in questa fase soprattutto soliloquio delle forze al governo, intende il confronto.

Cercare di comprendere (capire è ben più complesso) che cosa accada in questi tempi nel mondo, in Europa, nel nostro paese non è esercizio peregrino soprattutto se all’imperante clamore si sostituisce un certosino impegno a decrittare la immensa mole di contraddizioni che emergono in una sorta di revanscismo dell’ignoranza e della mistificazione.

In questo fine settimana si celebra il giorno della Memoria, a ricordo della mostruosa tragedia dell’Olocausto e ci si accorge come la sua narrazione faccia i conti con superficialità, ignoranza storica o peggio con strumentalizzazioni atte a offendere, sminuire quanto accaduto in un orribile gioco a confutare. Atteggiamento non nuovo sin dal dopoguerra ma sinora relegato al giusto oblio e che oggi sembra voler sovvertire la verità dei fatti. La sensazione forte è che un certo humus in Europa ma anche nel mondo tenti il tutto per tutto per mondare coscienze lorde di responsabilità storiche contando sul fatto che i testimoni di quella storia positivi o negativi non ci sono più e che sia dunque più facile ricostruire ad libitum e secondo convenienza. E’ questo che si è riacceso tra i popoli dell’est Europa finito il giogo sovietico autentico contraltare di quell’orrore.

Non vedere e dimenticare sono stati per decenni un modo di essere apparentemente relegato sullo sfondo che oggi invece prova ad essere chiave di lettura. Uno scopo da contrastare senza mezzi termini. Le coscienze di tutto il vecchio continente sono chiamate a guardarsi dentro, non soltanto quelle che hanno avallato con il silenzio o la complicità la tragedia, ma anche quelle di quanti hanno ritenuto e sono stati dalla parte giusta non riuscendo però a consegnare alla Storia la verità di quanto è accaduto. Sforzo che non può vedere esentato alcun paese del mondo che in quei momenti bui ebbe ruolo con alleanze, connivenze, silenzi.

Ignoranza e revanscismo accompagnano però anche la narrazione molto più meschina dell’oggi in molti paesi del mondo, dai più grandi a quelli meno potenti. Ognuno rivendica il proprio che, ovviamente, confuta o nega quello che dice l’altro ripescando avvenimenti consegnati da secoli alla ricostruzione storiografica. Non fa eccezione il nostro dove sembra avviato un gioco fatto di confusione, di confutazione di ogni cosa che non sia come gli interessi del momento richiedono.

E poco importa che a farne le spese sia la verità, perché ognuno si contenta della propria e prova anche a propagandarla. Chi scrive visse da giovane studente gli anni della contestazione e sentì forte anche nelle aree estremiste di quegli anni l’impegno a ricostruire e rivedere passaggi storici a seconda delle convenienze del momento (da queste premesse esplose la lotta armata, la strategia della tensione e tutti i lutti che portarono alla convivenza sociale). Evidente apparve anche che cristallizzare, rendere impermeabili ad ogni analisi passaggi della storia che richiedono invece di essere posti in evidenza per caprine il senso e dare spiegazione a molte deviazioni tuttora presenti nelle innumerevoli narrazioni , abbia costituito un errore storico grave del quale sarebbe giusto oggi fare ammenda per il bene del paese alle prese con sfide e problemi che avrebbero bisogno di punti fermi e verità finalmente condivise e non di mezze verità o verità di comodo lasciate ad incancrenire e ad avvelenare rapporti umani e la stessa convivenza nazionale.

Una doverosa premessa in questi giorni di memoria che ci porta ad una riflessione sull’oggi, sul panorama del nostro vivere e sul modo nel quale la politica, in questa fase soprattutto soliloquio delle forze al governo, intende il confronto. In realtà lo intende in un solo modo: confutare, irridere, mettere alla berlina. Strumenti non ignoti in Italia e nel mondo ma che sembrano ora l’unico modo di intendere la battaglia politica.

Alle prese con le difficoltà e le contraddizioni delle misure cruciali del programma la cui attuazione potrebbe non essere oggettivamente così piana ed ineluttabile come ci viene narrato, dato anche il loro valore di rottura di schemi e visioni economiche e sociali, i politici gialloverdi al governo si impegnano in una sorta di sfida continua attraverso quelle che sono state definite in modo calzante come “armi di distrazione di massa”. Incertezze e nodi da sciogliere nell’attuazione del contratto vengono furbescamente avvolti da una nebbia lanciando accuse e proponendo visioni anche nei rapporti internazionali che nulla hanno a che vedere con le condizioni reali ma molto sono opportune per trasmettere un senso di sicumera che offusca via via la realtà oggettiva.

Così, dopo l’”epico” confronto con l’Europa, gli ammiccamenti ai sovranisti di mezzo mondo, quando si scopre che i porti chiusi non sembrano fermare la migrazione dall’Africa, si fanno dichiarazioni improvvide e diplomaticamente dirompenti contro un paese alleato con riferimenti al colonialismo pensando di addossare ad esso o ad altri responsabilità che sono comuni se con un po’ di umiltà si guarda ai fenomeni e agli avvenimenti per quelli che sono, invece di vellicare i peggiori istinti con un’Italia muscolare che contraddice la sua lunga storia e la sua stessa cultura che dall’antichità ha informato il mondo intero. Perché di colonialismo e dei suoi danni l’Italia non è per così dire totalmente immune.

Ma, si sa, muscoli e cervello non sempre vanno d’accordo e l’esperienza dell’uomo mostra chiaramente che la conoscenza e la cultura sono forti antidoti alla supremazia dei primi sul secondo, mentre l’ignoranza di base o di ritorno (la peggiore) sono altrettanti micidiali veleni per le tossine che inoculano e per i danni che rischiano di provocare. Utile rammentare la mitica favola antica di Esopo sul funzionamento del corpo umano e sull’equilibrio necessario tra membra, visceri e testa! Già, ma chi se la ricorda più!

di Roberto Mostarda

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