L’istantanea di questa settimana politica nazionale è certamente quella legata alle primarie del partito democratico.
L’istantanea di questa settimana politica nazionale è certamente quella legata alle primarie del partito democratico. Non tanto perché su di esse si è accentrata l’attenzione mediatica e informativa, quanto perché l’evento in sé si presta ad alcune considerazioni.
Il risultato di un leader indicato da un ampio consenso (frutto di un altrettanto ampia partecipazione pubblica), senza se e senza ma, sembra modificare almeno al principio, il cammino che attende il centrosinistra. La prima considerazione è che finalmente, dopo mesi di apparente ritirata, di assenza, il centrosinistra sembra aver battuto un colpo nella direzione giusta: quella di tentare
almeno di presidiare un’area politica e sociale che appariva sempre più in preda ad una diaspora incontrollata e in contraddizione con la storia e l’evoluzione delle culture politiche dalle quali il partito è nato.
La seconda perché appare avviato il superamento di un confronto scontro basato su personalismi e contrapposizioni, ossia l’eterno tallone d’achille secondo il quale deve sempre esistere un nemico, più che un avversario, un capro espiatorio di colpe che
sono comuni peraltro. Ora la base come si diceva una volta è tornata a decidere in modo definito ed indica l’aspirazione ad una conduzione politica, quella di Zingareti, fatta di inclusione e di comprensione (elementi presenti anche negli altri candidati)
con lo sguardo a quanto accade in un paese ancora confuso e alla ricerca di un equilibrio, come dimostrano gli appuntamenti elettorali locali. La terza, forse più sfumata, ma non meno significativa riguarda i confini di questa inclusione che non sembrano prevedere allargamenti in direzione di chi lasciò il partito o verso la sinistra estrema. Fenomeni sempre più confinati in una rituale
irrilevanza.
Una direttrice che se saggiamente perseguita potrebbe affrancare una volta per tutte il partito non dalla sua storia, ma da una logica perdente ed autolesionista dove qualcuno sino a ieri (non si parla di Renzi a scanso di equivoci) riteneva di avere la primogenitura e il potere della “scomunica” come ai vecchi cari tempi del partito comunista. Una pagina nuova potenziale che andrebbe rafforzata e
arricchita soprattutto dinanzi alle sfide che attendono la nuova leadership nei confronti dei problemi del paese e del confronto con il governo gialloverde.
Evitando, questa la prima criticità, di immaginare alleanze con la galassia pentastellata e invece provare con determinazione a richiamare al Pd tutta quella parte di elettorato che da esso si è allontanata per protesta e ha scelto il movimento. Un’adesione che oggi sembra quanto meno in difficoltà se non in crisi. Di fronte al nuovo leader si delinea un quadro estremamente complesso anche se in
forte mobilità. Con molte variabili alcune anche insidiose. Il primo elemento da considerare è l’indubbia crescita dei consensi della Lega, il suo essere il primo partito potenziale in Europa ma anche in Italia. La battaglia contro Salvini non va condotta
soltanto sulle parole d’ordine contrarie a quelle da lui usate con dovizia, ma con un’analisi sociale sui grandi problemi cercando di raccordare le scelte e le iniziative del Pd con quelle di parti sempre più ampie della popolazione.
La forza possibile del centrosinistra sta nel disegnare un possibile Paese i cui lineamenti siano più aderenti ad una visione di paese avanzato, inserito in Europa anche per superarne gli egoismi e i particolarismi. Altrimenti sarà solo un battibeccare vacuo e improduttivo. Un secondo elemento è l’evidente presenza – malgrado i distinguo del leader leghista – di un blocco di centrodestra di ampiezza tale che se trasposto in campo nazionale potrebbe originare una maggioranza di governo. Ipotesi per ora lontana, ma dopo le
Europee, il tema potrebbe ripresentarsi e soprattutto se i 5Stelle dovessero accusare nuovi risultati elettorali negativi e dovesse aumentare il tasso di caos nelle loro fila.
Dossier cruciali come quelli sociali, di lotta a diseguaglianze e povertà; come quelli sulle infrastrutture (Tav in prima linea ma poi centinaia di casi simili) ; delle alleanze possibili in un’Europa in profonda trasformazione e alle prese con la Brexit; di una
coerente politica che coniughi efficienza produttiva, occupazione e rispetto per l’ambiente, non possono essere affrontati con l’occhio miope di questi mesi, ma con una strategia chiara, affrancata da pastoie ideologiche e tuttavia consapevole dei termini chiave di una ripresa del Paese che non può essere ulteriormente rimandata perché il prezzo sarebbe l’emarginazione dell’Italia e non solo in Europa.
In sostanza, è lo stato di crisi e confusione che il paese attraversa a chiedere a gran voce che esista un partito di centrosinistra moderno e in grado di rappresentarne le esigenze, le aspettative, i bisogni e di correggerne le asperità e le criticità sempre più
evidenti e aggravate da una conduzione sbilenca dove il contratto di governo sembra essere sempre più la parodia di se stesso, con la Lega consapevole di quanto accade e il pentastellati incapaci di reagire alla loro prima vera crisi di rappresentanza: quel passaggio dal comodo vaffa delle piazze dove si diceva no a tutto accusando tutti gli altri di essere colpevoli di tutto, e la dura realtà del dover decidere e perciò stesso dover mediare, ed esporsi come in un contrappasso ai vaffa che ineluttabilmente arrivano a chi governa e non riesce, non può, oggettivamente dare a tutti le risposte che attendono! Ma che allo stesso tempo deve dare risposte ad esigenze oggettive, di un paese bloccato che deve ripartire con investimenti e interventi strutturali che spezzino catene di inefficienza e liberino le forze sane.
Una scommessa, per ora, se non persa, certamente molto vicina ad una cocente sconfitta, nell’assenza di una cultura del governo e dell’amministrazione pubblica, ma anche delle dinamiche economiche e finanziarie di un’economia di mercato!
di Roberto Mostarda